Ricorso  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri   (c.f.
80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente  in
carica, rappresentata e difesa per mandato  ex  lege  dall'Avvocatura
generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in  Roma,  via
dei Portoghesi 12, ricorrente; 
    contro Regione  autonoma  Sardegna,  in  persona  del  Presidente
attualmente in carica, resistente; 
    per l'impugnazione  e  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'
degli articoli 1; 2; 3; 4, commi 1 lettere a), b), c) n. 1 e  2,  g),
h) e i); 5; 6; 7; 8; 9; 11; 12; 13; 14; 15; 16; 17; 18; 19;  21;  23;
24; 25; 26; 27; 28 e 30, comma 2, della legge  regionale  18  gennaio
2021, n.  1,  avente  ad  oggetto  «Disposizioni  per  il  riuso,  la
riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente  ed
in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti  e
modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985 e n.  16
del 2017», pubblicata sul BUR n. 5 del 19 gennaio 2021 e ripubblicata
una seconda volta, a seguito di errata-corrige, sul BUR n. 6  del  21
gennaio 2021. 
    Il Consiglio regionale della Regione autonoma della  Sardegna  ha
approvato ed emanato in data 18 gennaio 2021 la legge n. 1 che consta
di 30 articoli, quasi  tutti  dedicati  ad  introdurre  modifiche  ed
integrazioni a tre leggi regionali precedenti (la legge n. 8/2015, la
legge n. 23/1985 e la legge n.  16/2017),  dettando  disposizioni  in
materia edilizia e di governo del territorio. 
    In  particolare,  la  prima  delle  leggi  modificate,  la  legge
regionale n. 8/2015, contiene il c.d. nuovo piano casa della  Regione
Sardegna, in sostituzione del precedente di cui alla legge  regionale
n. 4/2009 le cui disposizioni sono state piu' volte  prorogate  dalla
Regione Sardegna a partire dal 2016 per finire al 2020.  Quest'ultima
legge di proroga (la legge regionale n. 17/2020) e'  stata  impugnata
dal Governo per violazione dell'art.  117,  comma  2,  lettera  s)  e
dell'art. 9 della  Costituzione,  in  quanto  ritenuta  lesiva  della
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del
paesaggio. 
    La seconda delle leggi modificate, la legge regionale n. 23/1985,
detta norme in materia edilizia (anche di sanatoria  di  insediamenti
ed opere abusive) ed espropriativa. 
    La terza  legge  oggetto  di  modifica,  la  legge  regionale  n.
16/2017, si occupa di turismo. 
    Le modifiche all'ordinamento regionale sono dirette,  in  estrema
sintesi, a consentire la realizzazione di interventi  edilizi,  anche
di  rilevante  impatto,  in  deroga  non  solo  alla   pianificazione
urbanistica comunale, ma anche  a  quella  paesaggistica,  nonche'  a
prevedere l'irrilevanza o sanatoria di illeciti edilizi, al di  fuori
dei casi e limiti previsti inderogabilmente dalla disciplina statale. 
    Viene, cosi', agevolata la massiccia trasformazione  edificatoria
del territorio, anche in ambiti  di  pregio,  determinando  un  grave
abbassamento del livello della tutela del paesaggio. 
    In via generale, con valenza a sostenere la posizione dello Stato
con argomenti comuni a tutte le censure che sono di seguito  dedotte,
si rileva che l'art. 3, lettera  f),  dello  Statuto  speciale  della
Regione autonoma della Sardegna  (legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3) attribuisce alla Regione potesta' legislativa in  materia
di  «edilizia  e  urbanistica»,  mentre  l'art.  6  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 («Nuove  norme  di
attuazione  dello  statuto  speciale  della  Regione  autonoma  della
Sardegna») trasferisce alla Regione alcune competenze gia' esercitate
dagli organi del Ministero della pubblica istruzione, poi  attribuite
al Ministero per i beni culturali e ambientali. 
    Va tuttavia rimarcato che, in  base  al  medesimo  art.  3  dello
Statuto speciale, la potesta' legislativa  regionale  in  materia  di
edilizia e urbanistica deve essere  esercitata  «In  armonia  con  la
Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica
e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli  interessi
nazionali,   nonche'   delle   norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali della Repubblica»,  e  quindi  necessariamente  nel
rispetto delle  previsioni  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  dettate  dallo  Stato   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),
della Costituzione. 
    La Corte costituzionale, anche recentemente (sentenza n. 178  del
2018), ha  chiarito  il  ruolo  e  le  attribuzioni  del  legislatore
nazionale con riguardo alle previsioni dello Statuto  speciale  della
Regione Sardegna, affermando che «Il legislatore statale conserva  il
potere di vincolare la potesta' legislativa  primaria  dell'autonomia
speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come «riforme
economico-sociali». E cio' anche sulla base - per quanto qui viene in
rilievo - del titolo di competenza legislativa nella materia  «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., comprensiva tanto della tutela
del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali». 
    Se la Regione Sardegna e' titolare -  grazie  al  suo  Statuto  e
diversamente dalle  regioni  a  statuto  ordinario  -  di  competenza
legislativa esclusiva nella materia dell'edilizia e dell'urbanistica,
sostanzialmente corrispondente alla materia «governo del territorio»,
essa non gode di potesta' normativa primaria in materia di tutela del
paesaggio, perche' questa spetta in via esclusiva allo Stato in forza
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    E' vero che l'art. 6, comma 2, del decreto del  Presidente  della
Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 («Nuove  norme  d'attuazione  dello
Statuto  speciale  della  Regione  autonoma  della  Sardegna»),   nel
definire i  confini  delle  competenze  esclusive  della  Regione  in
materia di «edilizia e urbanistica», attribuisce alla  Regione  anche
la redazione e l'approvazione dei piani  territoriali  paesistici  di
cui all'art. 5 della  legge  29  giugno  1939,  n.  1497,  ma  questa
constatazione  non  muta  la  linea  di  confine  tra  le  competenze
legislative. 
    Tale competenza, infatti,  era  riconosciuta  anche  a  tutte  le
regioni ordinarie, sin dall'emanazione  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 8 (art. 1, quarto comma),  senza
che  cio'  potesse  intaccare  la  competenza  esclusiva  da   sempre
appartenente allo Stato in materia di tutela del paesaggio. 
    La stessa legge n. 431 del 1985 (c.d. «legge Galasso»),  oltre  a
estendere il  vincolo  di  tutela  inerente  a  zone  di  particolare
interesse  ambientale  a  tutto  il  territorio  nazionale,   prevede
espressamente che le  regioni  sottopongano  «a  specifica  normativa
d'uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio  mediante
la redazione di piani paesistici o di piani  urbanistico-territoriali
con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali». 
    Deve pertanto essere chiaro che la tutela del paesaggio resta ben
distinta dal «governo del territorio»,  pur  avendo  le  due  materie
ambiti in comune, in particolare per quanto riguarda  l'attivita'  di
pianificazione. 
    Al  riguardo,  la  Corte  costituzionale   ha   riconosciuto   la
prevalenza dell'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica,
rimarcando che «sul piano del  riparto  di  competenze  tra  Stato  e
Regione in materia di paesaggio, la "separatezza  tra  pianificazione
territoriale ed urbanistica,  da  un  lato,  e  tutela  paesaggistica
dall'altro",  prevalendo,  comunque,   "l'impronta   unitaria   della
pianificazione paesaggistica" (sentenza  n.  182  del  2006).  E'  in
siffatta piu' ampia prospettiva che, dunque, si colloca il  principio
della "gerarchia"  degli  strumenti  di  pianificazione  dei  diversi
livelli territoriali, espresso dall'art. 145 del decreto  legislativo
n. 42 del 2004» (sentenza n. 180 del 2008). 
    Se si e'  ritenuto  che  la  materia  «edilizia  ed  urbanistica»
include anche la possibilita' di incidere  sulla  pianificazione  del
paesaggio in senso  lato,  salvi  ovviamente  i  limiti  delle  norme
statali di grande riforma economico-sociale (tra le quali va di certo
annoverato il principio di copianificazione,  di  cui  agli  articoli
135, 143, 145 e 156 del Codice), cio' non significa aver riconosciuto
alla Regione una potesta' legislativa primaria in materia  di  tutela
paesaggistica in senso proprio, che non e' prevista dallo Statuto. 
    E proprio con riferimento alla  Regione  Sardegna,  nella  citata
sentenza n. 178 del 2018, e' stato precisato che:  «la  conservazione
ambientale e paesaggistica spetta,  in  base  all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato [e che]  le
disposizioni del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  si
impongono al rispetto del legislatore della  Regione  autonoma  della
Sardegna, anche in considerazione  della  loro  natura  di  norme  di
grande riforma economico-sociale e  dei  limiti  posti  dallo  stesso
statuto sardo alla potesta' legislativa regionale  (sentenze  n.  210
del 2014 e n. 51 del 2006)» (sentenza n.  103  del  2017).  «Da  cio'
deriva che il legislatore della Regione autonoma della  Sardegna  non
puo' esercitare  unilateralmente  la  propria  competenza  statutaria
nella materia edilizia e urbanistica quando siano in gioco  interessi
generali riconducibili alla predetta competenza esclusiva  statale  e
risultino  in   contrasto   con   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale». 
    La  Regione  Sardegna  ha  approvato   il   piano   paesaggistico
regionale, primo ambito  omogeneo,  con  deliberazione  della  Giunta
regionale n.  36/7  del  5  settembre  2006  (c.d.  «PPR  dell'ambito
costiero»); 
    Nell'anno successivo, il 19 febbraio 2007 la Regione Sardegna  ha
sottoscritto con il Ministero per  i  beni  culturali  il  Protocollo
d'intesa  per  la  verifica  e  l'adeguamento  congiunto  del   Piano
paesaggistico regionale -  Primo  ambito  omogeneo  (ai  sensi  degli
articoli 143 e 156  del  Codice),  nonche'  per  la  copianificazione
congiunta con lo Stato del Secondo ambito omogeneo  (comprendente  le
aree interne dell'isola). 
    La predetta attivita' di copianificazione e' riferita  all'intero
territorio regionale, e quindi sia ai beni  paesaggistici  vincolati,
che al paesaggio non vincolato. 
    Il 1° marzo 2013 e'  stato  sottoscritto  tra  la  Regione  e  il
Ministero dei beni culturali il disciplinare attuativo  del  suddetto
Protocollo d'intesa, al fine di definire le modalita'  attuative  dei
lavori di copianificazione sia  per  il  Primo  che  per  il  Secondo
ambito. Lo stesso disciplinare e'  stato  aggiornato  e  sottoscritto
congiuntamente dalla Regione e dal Ministero il 18 aprile 2018. 
    In esecuzione del disciplinare in questione sono state avviate  e
concluse   numerose   attivita'    tecniche    di    copianificazione
paesaggistica tra la Regione ed il Ministero, le quali, tuttavia, non
si sono ancora tradotte  nell'approvazione  del  Piano  paesaggistico
verificato e adeguato  alle  disposizioni  del  Codice  e  nella  sua
estensione alle aree  interne  dell'Isola.  La  Regione  ha,  dunque,
assunto uno specifico  impegno  al  coinvolgimento  dello  Stato  nel
delineare la disciplina di tutela non  solo  dei  beni  paesaggistici
vincolati (art. 134 del Codice), bensi' di tutti i  «paesaggi»  della
Regione, nell'ampia accezione propria della Convenzione  europea  sul
paesaggio di Firenze, ratificata dall'Italia con la legge  9  gennaio
2006, n. 14. E fino ad oggi questo impegno e' stato mantenuto. 
    Ecco perche' oggi, ad avviso del Governo, l'intervento  regionale
risulta  manifestamente  illegittimo  in  quanto   deroga   in   modo
unilaterale al piano paesaggistico regionale, Primo ambito  omogeneo,
sottraendosi non solo all'obbligo di  copianificazione  previsto  dal
Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto
legislativo n. 42 del 2004, ma  anche  all'intesa  stipulata  con  lo
Stato. 
    La legge regionale inoltre disciplina unilateralmente il  Secondo
ambito omogeneo, sottraendosi anche in  questo  caso  all'obbligo  di
copianificazione previsto dal Codice e alla predetta intesa, e per di
piu' interviene  con  legge  (e  quindi  con  previsioni  generali  e
astratte, come tali inidonee a tenere conto degli specifici  contesti
paesaggistici), invece che mediante la  pianificazione  paesaggistica
(unica sede nell'ambito della quale deve  essere  determinata,  sulla
base di una valutazione in concreto, la  disciplina  d'uso  dei  beni
paesaggistici). 
    L'intervento normativo della Regione lede pertanto  il  principio
di leale collaborazione nei  confronti  dello  Stato,  in  quanto  la
Regione agisce  in  via  unilaterale,  in  violazione  degli  Accordi
sottoscritti dalla Regione con il competente Ministero in materia  di
pianificazione paesaggistica congiunta. 
    Per completezza di conoscenza, si fa presente  che  lo  Stato  ha
recentemente impugnato davanti alla  Corte  costituzionale  anche  la
legge regionale n. 21/2020  con  la  quale  la  Regione  Sardegna  ha
disposto  che  sono  in  ogni  caso  sottratti  alla   pianificazione
congiunta tra Regione e Ministero - dalla data di entrata  in  vigore
del decreto legislativo n. 63/2008 - i beni paesaggistici diversi  da
quelli di cui all'art. 143, comma 1, lettere b), c) e d) del  decreto
legislativo n. 42/2004 quali, in particolare, la fascia  costiera,  i
beni identitari e le zone agricole. Tutto  cio'  premesso,  risultano
censurabili le seguenti disposizioni della legge regionale. 
1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, della  legge  regionale
18 gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9 e 117, commi  1
e 2, lettera s)  della  Costituzione  e  dell'art.  3  dello  Statuto
speciale della Regione Sardegna. 
    La norma qui censurata e' inserita nel Capo I  della  legge,  che
raggruppa tutte le modifiche alla legge  regionale  n.  8  del  2015,
attribuendo numerose premialita' volumetriche su tutto il  territorio
regionale, con l'unica esclusione della fascia dei  300  metri  dalla
linea di battigia. 
    Essa sostituisce l'art. 26 della legge regionale n. 8  del  2015,
che reca disposizioni  in  materia  di  «salvaguardia  dei  territori
rurali». 
    I nuovi commi 1 e 2 dell'art. 26 consentono, al  di  fuori  della
fascia di 1.000 metri dalla battigia marina, l'edificazione in agro a
fini residenziali con una superficie minima di  un  ettaro  (art.  3,
comma 3, del d.P.G. n. 228 del 1994, richiamato al comma 1)  e  senza
essere   imprenditori   agricoli.   Si   tratta   di   trasformazioni
disciplinate al di fuori del piano paesaggistico, in  violazione  dei
principi copianificazione  obbligatoria  e  di  gerarchia  dei  piani
sanciti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (articoli  135,
143, 145 e 156 del decreto legislativo n. 42/2004). 
    Viene pertanto  impedito  alla  pianificazione  paesaggistica  di
raggiungere lo scopo a cui e' destinata, ossia evitare che,  in  sede
di  rilascio  delle   autorizzazioni   paesaggistiche,   le   singole
trasformazioni  vengano  valutate  in  modo  parcellizzato,   e   non
nell'ambito della considerazione complessiva  del  contesto  tutelato
specificamente demandata al piano paesaggistico,  secondo  la  scelta
operata al riguardo dal legislatore nazionale. 
    Il nuovo comma 3 dell'art. 26 della  legge  regionale  n.  8/2015
stabilisce  che  nelle  zone  agricole  e'  ammesso  il   cambio   di
destinazione d'uso degli edifici legittimamente esistenti in  edifici
a  uso  residenziale,  nel  rispetto  della  superficie   minima   di
intervento e dell'indice massimo di fabbricabilita', fatta  salva  la
limitazione dell'edificazione  residenziale  nei  1.000  metri  dalla
costa solo in favore  degli  imprenditori  agricoli  tradizionali,  e
purche' i cambi  di  destinazione  d'uso  non  determinino  opere  di
urbanizzazione a rete. 
    La  disposizione,  pur  facendo   salvo   l'indice   massimo   di
fabbricabilita', non fa salva la densita' fondiaria di mc.  0,03  per
mq specificamente prevista per le abitazioni ai sensi dell'art. 7, n.
4, del decreto ministeriale 1° aprile  1968,  n.  1444  e  confermato
dall'art. 4 del decreto dell'Assessore regionale degli  enti  locali,
finanze e urbanistica n. 2266/U del 1983 e dall'art. 3 del d.P.G.  n.
228 del 1994. 
    Viene, quindi, introdotta  una  previsione  derogatoria  rispetto
alla pianificazione urbanistica comunale e, a  monte,  rispetto  alla
norma  fondamentale  di  grande  riforma   economico-sociale,   posta
dall'art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge n. 1150  del  1942,
che impone il rispetto dei limiti inderogabili di  densita'  edilizia
previsti per le diverse zone del territorio comunale (Corte cost.  n.
217 del 2020). 
    La previsione in  esame  si  pone  quindi  in  contrasto  con  la
finalita'  dichiarata  di  «salvaguardia   dei   territori   rurali»,
prestandosi,  al  contrario,  a  determinare  la  trasformazione   di
insediamenti rurali in insediamenti abitativi, con conseguente  grave
rischio di fenomeni di c.d. dispersione urbana. 
    Che questo sia il  possibile  risultato  dell'applicazione  della
disposizione normativa e' testimoniato, del resto, dal fatto  che  il
cambio di destinazione d'uso non e' consentito (solo) se comporta  la
necessita' di realizzare «opere di urbanizzazione  a  rete»,  ma  non
anche se - come e'  la  regola  -  determina  un  carico  urbanistico
comportante, per sua stessa natura, la necessita'  di  realizzare  le
altre opere di urbanizzazione primaria e secondaria, come tali idonee
a stravolgere il contesto agricolo. 
    Richiamando quanto dedotto in via generale nel presente  ricorso,
la  norma  indicata  in  epigrafe  e'   pertanto   costituzionalmente
illegittima per violazione dell'art. 3 dello statuto  speciale,  come
attuato mediante il decreto del Presidente della  Repubblica  n.  480
del 1975, perche'  esuberante  rispetto  al  potere  legislativo  ivi
riconosciuto alla Regione Sardegna. 
    E' inoltre illegittima per  violazione  degli  articoli  9,  117,
primo comma e secondo comma, lettera s),  Cost.,  rispetto  ai  quali
costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e  156  del
Codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006,
di recepimento della Convenzione europea  sul  paesaggio;  e'  infine
illegittima perche' lesiva del principio di leale collaborazione  che
in materia di paesaggio si attua con la copianificazione. 
2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge regionale 18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9 e 117, commi  1  e
2, lettere m) e s) della Costituzione e  dell'art.  3  dello  Statuto
speciale della Regione Sardegna. 
    La norma qui censurata modifica il termine previsto  al  comma  4
dell'art. 26-bis della legge regionale n. 8  del  2015,  prorogandolo
dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2023. 
    L'art. 26-bis prevede, al comma 1, che «Al fine  di  superare  le
situazioni di degrado legate alla presenza,  all'interno  delle  zone
urbanistiche omogenee agricole, di costruzioni non ultimate  e  prive
di carattere compiuto, alle condizioni di cui al  presente  articolo,
e' consentito il completamento degli edifici, le cui opere sono state
legittimamente avviate e il  cui  titolo  abilitativo  e'  scaduto  o
dichiarato  decaduto  e  non  puo'   essere   rinnovato   a   seguito
dell'entrata in vigore di contrastanti disposizioni». Con la  novella
la Regione rinnova quindi una disciplina derogatoria che era venuta a
scadenza il 31 dicembre 2020, e quindi gia'  scaduta,  determinandone
la riviviscenza fino al 31 dicembre 2023. Nonostante la dichiarazione
di principio, secondo la quale la previsione normativa e' diretta  al
«Superamento  delle  condizioni  di  degrado  dell'agro»,  la   norma
consente interventi gravemente pregiudizievoli per il territorio,  in
quanto legittima il completamento di edificazioni  in  zona  agricola
rimaste incompiute, nei casi in cui non sarebbe possibile ottenere il
rinnovo del titolo edilizio ormai divenuto inefficace, a causa di una
sopravvenuta disciplina pianificatoria incompatibile. 
    Cio' al di fuori  del  piano  paesaggistico,  in  violazione  dei
principi copianificazione  obbligatoria  e  di  gerarchia  dei  piani
sanciti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (articoli  135,
143, 145 e 156). Non vale a sanare l'illegittimita'  della  normativa
quanto  previsto  al  comma  4,  che  subordina  gli  interventi   di
completamento agli «eventuali atti  di  assenso  relativi  a  vincoli
paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di  tutela  del  patrimonio
storico,  artistico  e  archeologico  e  dalle  altre  normative   di
settore».  Viene  infatti  comunque  impedito   alla   pianificazione
paesaggistica di raggiungere lo  scopo  a  cui  e'  destinata,  ossia
evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche,
le singole trasformazioni vengano valutate in modo  parcellizzato,  e
non  nell'ambito  della  considerazione  complessiva   del   contesto
tutelato specificamente demandata al piano paesaggistico, secondo  la
scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale. 
    La normativa regionale costituisce  inoltre  una  vistosa  deroga
rispetto alle norme fondamentali di grande riforma  economico-sociale
contenute all'art. 15 del decreto del Presidente della  Repubblica  6
giugno 2001, n. 380, ove si prevede che «La realizzazione della parte
dell'intervento non ultimata nel termine stabilito e' subordinata  al
rilascio di nuovo permesso per le opere  ancora  da  eseguire  (...)»
(comma 3) e che «Il  permesso  decade  con  l'entrata  in  vigore  di
contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori  siano  gia'
iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data
di  inizio.»  (comma  4).  In  forza  delle  suddette  previsioni   -
applicabili anche nei confronti della Regione autonoma della Sardegna
in quanto attinenti alla determinazione dei livelli essenziali  delle
prestazioni  valevoli  sull'intero  territorio   nazionale   -   deve
escludersi  che  possa  essere   consentito   il   completamento   di
edificazioni  rimaste  incompiute,  ove  il  privato  abbia  lasciato
decadere il  titolo  edilizio  e  non  vi  siano  le  condizioni  per
ottenerne il rinnovo. 
    Come evidenziato dal Giudice amministrativo, in materia  edilizia
il permesso di costruire decade espressamente  nel  caso  di  mancato
rispetto del termine di inizio o di  ultimazione  dei  lavori,  fatta
salva la possibilita' di proroga, che  deve  essere  richiesta  prima
della scadenza dei detti termini e che deve essere accordata ai sensi
dell'art. 15, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380 del 2001 (Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2020, n. 4179). 
    In   materia   edilizia,   pertanto,   l'intervenuta   decadenza,
realizzatasi  per   superamento   dei   termini   previsti   per   la
realizzazione  della  costruzione,  comporta  la  impossibilita'   di
realizzare la «parte non eseguita» dell'opera a suo tempo  assentita,
e la necessita' del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere
ancora da eseguire. In sostanza, una volta intervenuta la  decadenza,
chiunque intenda completare la costruzione necessita di un  nuovo  ed
autonomo  titolo  edilizio,  che  deve   provvedere   a   richiedere,
sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto a verificare la
coerenza di quanto occorre  ancora  realizzare  con  le  prescrizioni
urbanistiche vigenti nell'attualita' (Cons. Stato, Sez. IV, 6  agosto
2019, n. 5588). 
    Di  conseguenza,  la  possibilita'  prevista  ex  lege   di   far
«rivivere» titoli decaduti anche da lungo  tempo,  per  di  piu'  con
dilatazione del termine entro cui  e'  possibile  avvalersi  di  tale
facolta', contrasta con la legislazione statale che stabilisce -  con
principio generale destinato a imporsi sulla legislazione regionale -
la decadenza automatica del titolo abilitativo, qualora i lavori  non
siano ultimati entro il termine ivi fissato. 
    Sotto altro profilo, la norma consente il completamento, in  zona
agricola,  di  edifici  incompatibili  con   l'attuale   destinazione
urbanistica della zona stessa. In questa prospettiva,  la  previsione
censurata deroga anche  al  principio  fondamentale  posto  dall'art.
41-quinquies, ottavo comma, della legge n.  1150  del  1942  (attuato
mediante il decreto ministeriale n. 1444  del  1968,  recepito  dalla
Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228  del
1994) secondo il quale il territorio comunale deve  essere  suddiviso
in zone territoriali omogenee, per le  quali  sono  dettati  appositi
standard  e  limiti  di  densita'  edilizia,  volti   ad   assicurare
l'ordinato assetto del territorio. 
    La   previsione   determina,   inoltre,   esiti    arbitrari    e
irragionevoli,  in  quanto  impedisce  ai  comuni  di   disporre   la
rimessione in pristino dello stato dei luoghi, doverosa  in  base  ai
principi, e determina un aggravio del carico urbanistico  nelle  aree
interessate. 
    La norma qui censurata e' pertanto costituzionalmente illegittima
per violazione ai limiti della  competenza  legislativa  riconosciuta
alla  regione  dall'art.  3  dello  statuto  speciale,  come  attuato
mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del  1975.
Anche nella materia affidata alla  competenza  legislativa  esclusiva
della Regione, essa deve rispettare le norme fondamentali di  riforma
economica e sociale dettate dallo Stato, quali nella fattispecie sono
quelle di cui all'art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge
n. 1150/1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale  n.  1444
del  1968,  recepito  dalla  Regione  Sardegna  con  il  D.   A.   n.
2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994), e agli articoli 2-bis,  14
e 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. 
    Essa e' inoltre illegittima perche' viola l'art.  117,  comma  2,
lettera m) della Costituzione alterando i  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili  dei  cittadini  che  devono
necessariamente  essere  garantiti  in  modo  uguale  su   tutto   il
territorio nazionale. 
    Ed e' poi illegittima per la violazione dell'art. 117, comma 1  e
comma  2,  lettera  s)  della  Costituzione  in   quanto   -   seppur
letteralmente atteggiata a regolare  la  materia  edilizia  -  incide
pesantemente sulla pianificazione paesaggistica in  violazione  della
competenza legislativa esclusiva dello Stato, attuata dagli  articoli
135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio,
dall'art. 5, comma 11, del decreto-legge n.  70  del  2011,  e  dalla
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio. 
    Infine essa e' lesiva del principio di leale collaborazione,  dal
momento che, come piu' volte detto, produce un intervento unilaterale
in un ambito in cui e' dovuta la copianificazione. 
3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge regionale 18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9 e 117, commi  1  e
2, lettera s) della Costituzione e dell'art. 3 dello Statuto speciale
della Regione Sardegna. 
    La  norma  qui  censurata  aggiunge  l'art.  26-ter  nella  legge
regionale n. 8 del 2015 («Pianificazione del sistema  delle  scuderie
della Sartiglia di Oristano»). 
    Per effetto delle previsioni in esame,  viene  consentita  -  per
asserite  finalita'   di   «valorizzazione   dal   punto   di   vista
paesaggistico» di determinate aree agricole, soggette anche a  tutela
paesaggistica e del piano paesaggistico regionale - la costruzione di
nuove  strutture  quali  le  «scuderie»,  e  cio'  in  forza  di  una
previsione generalizzata contenuta nella legge regionale, operante in
deroga non solo alla pianificazione urbanistica, ma  anche  a  quella
paesaggistica. 
    Viene infatti consentita per legge, in maniera indiscriminata  su
tutto  l'agro  comunale  di  Oristano,  l'edificazione  di  strutture
zootecniche, richiamando  l'operativita'  dell'art.  3  «Criteri  per
l'edificazione nelle zone agricole» del decreto del Presidente  della
Giunta regionale 3 agosto 1994, n. 228, recante le «Direttive per  le
zone agricole», in  spregio  alle  previsioni  delle  NTA  del  piano
paesaggistico  regionale  e  al  di  fuori  delle  previsioni   degli
strumenti urbanistici. 
    Inoltre, il legislatore regionale prevede che «la  tipologia,  le
dimensioni e i materiali» di  tali  «scuderie»  siano  stabilite  dal
vigente  strumento  urbanistico  comunale  (PUC)  «nell'ottica  della
tutela e valorizzazione dell'ambiente e del  paesaggio»,  invece  che
nel rispetto delle previsioni e prescrizioni del piano  paesaggistico
regionale, cui sono riservate la salvaguardia, la pianificazione e la
gestione di tutto il territorio ai sensi degli articoli  135,  143  e
145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Sotto questo  profilo,  la  nuova
disposizione,  al  di  fuori  del  piano   paesaggistico   regionale,
attribuisce  direttamente  allo  strumento  urbanistico  comunale  la
competenza  in  materia  di  pianificazione   paesaggistica,   invece
riservata dal legislatore statale al predetto Piano sovraordinato. 
    L'art.  3  della  legge   regionale   n.   1/2021   e'   pertanto
costituzionalmente illegittimo per violazione dei limiti  imposti  al
potere legislativo regionale dall'art. 3 dello statuto speciale, come
attuato mediante il decreto del Presidente della  Repubblica  n.  480
del 1975. Oltre infatti ad invadere la materia paesaggistica, che  e'
di esclusiva competenza dello Stato,  nella  disciplina  edilizia  la
norma contrasta con le norme  fondamentali  di  riforma  economica  e
sociale dettate dallo Stato, quali nella fattispecie sono  quelle  di
cui all'art. 41-quinquies,  ottavo  e  nono  comma,  della  legge  n.
1150/1942 (come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444  del
1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983,  e
il d.P.G. n. 228 del 1994), e  agli  articoli  2-bis,  14  e  15  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    E' altresi' illegittimo perche' lesivo  degli  articoli  9,  117,
primo comma e secondo comma lettera  s),  Costituzione,  rispetto  ai
quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156
del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l'art.  5,  comma  11,
del decreto-legge n. 70 del 2011, e la  legge  n.  14  del  2006,  di
recepimento della Convenzione europea sul paesaggio. 
    E' infine illegittimo  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione. 
4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma  1,  lettere  a),
b), c) numeri 1 e 2, g), h) e i), della legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per la violazione degli articoli 9 e 117, comma 1 e  comma
2, lettere m) e s) della  Costituzione,  nonche'  per  la  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art.  4  della  legge  regionale  n.  1/2021  apporta  numerose
modifiche all'art. 30 della precedente legge regionale n. 8 del 2015,
concernente «Interventi  di  incremento  volumetrico  del  patrimonio
edilizio esistente», aumentando in modo  considerevole  i  limiti  di
maggiore edificabilita' ivi prima previsti. 
    In particolare: 
        la lettera a) alza dal 20 al 25 per cento e da 70 a 90  metri
cubi i limiti  di  incremento  volumetrico  consentiti  per  ciascuna
unita' immobiliare che nella zona urbanistica A non  abbia  rilevanti
tracce dell'assetto storico e che sia in contrasto  con  i  caratteri
architettonici del contesto; 
        la lettera b) alza da  120  a  180  metri  cubi  l'incremento
volumetrico realizzabile in ciascuna unita'  immobiliare  nelle  zone
urbanistiche B e C; 
        la lettera c) al n. 1)  raddoppia  dal  5  al  10  per  cento
l'ulteriore  incremento  volumetrico  consentito  sempre  nelle  zone
urbanistiche B e C e al n. 2 prevede  che  tale  ulteriore  beneficio
operi in almeno una delle ipotesi alternative ivi menzionate; 
        la lettera g),  mediante  l'aggiunta  di  un  comma  (7-bis),
introduce la possibilita' di realizzare verande coperte,  o  ampliare
quelle esistenti, fino ad un massimo di  un  terzo  della  superficie
coperta consentita nelle zone B, C ed F; 
        la lettera h) aumenta da 120 a 150 metri cubi  la  superficie
in piu' realizzabile nelle zone urbanistiche A, B e C,  relativamente
agli edifici destinati ad abitazione principale dei disabili; 
        la lettera i), infine, inserisce due nuovi commi (il 9-bis  e
il 9-ter) mediante i quali sono  consentiti  nelle  zone  extraurbane
incrementi volumetrici delle strutture residenziali non superiori  al
35 per cento dell'esistente purche' oltre i 300 metri dalla  battigia
(comma 9-bis) e sono estesi alle abitazioni in aree  non  pianificate
gli incrementi volumetrici gia' consentiti nelle zone E (9-ter). 
    Tutte   le   modifiche   apportate   sono   volte   a   estendere
considerevolmente  gli  interventi  di  incremento  volumetrico   del
patrimonio  edilizio   esistente,   anche   in   assenza   di   Piano
particolareggiato  adeguato  al  PPR.  E  solo  per  gli   interventi
ricadenti nella zona urbanistica A la normativa regionale richiede il
rispetto della disciplina del piano paesaggistico. 
    Il comma 2, primo periodo, del novellato art. 30 prevede  infatti
: «Nella zona urbanistica  A  l'incremento  volumetrico  puo'  essere
realizzato unicamente negli  edifici  che  non  conservano  rilevanti
tracce dell'assetto storico e che siano in contrasto con i  caratteri
architettonici e tipologici del contesto, previa approvazione  di  un
Piano particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale  ed
esteso all'intera zona urbanistica o previa verifica di cui  all'art.
2 della legge regionale 4 agosto 2008, n. 13». Il successivo comma  9
prevede: «Nella zona urbanistica A o all'interno del centro di antica
e prima formazione, in assenza di piano particolareggiato adeguato al
Piano paesaggistico regionale, oltre agli interventi di  manutenzione
ordinaria  e  straordinaria,  restauro  e  risanamento  conservativo,
ristrutturazione edilizia  interna,  e'  consentito  l'intervento  di
"ristrutturazione  edilizia  di  tipo  conservativo"   che   mantiene
immutati alcuni  elementi  strutturali  qualificanti,  con  possibili
integrazioni  funzionali   e   strutturali,   senza   incrementi   di
superficie,  di  volume  e  variazioni  della   sagoma   storicamente
esistente». 
    Cio' evidentemente significa che negli altri casi gli  interventi
possono essere realizzati anche  in  deroga  al  piano  paesaggistico
regionale (PPR), oltre  che  in  deroga  agli  strumenti  urbanistici
comunali. 
    Al di fuori delle zone A, pertanto, le novelle, prevedendo  nuovi
e  ulteriori  incrementi  volumetrici,  anche   in   aree   vincolate
paesaggisticamente  -  escludendo  dall'applicazione  le  sole  fasce
costiere di 300 metri dalla linea di battigia marina - comportano una
sistematica violazione delle  previsioni  e  prescrizioni  del  piano
paesaggistico regionale, in quanto consentono nuova  edificazione  in
aree paesaggisticamente tutelate e vincolate,  tra  le  quali  quelle
della «Fascia costiera», bene paesaggistico tipizzato  e  individuato
dal PPR ai sensi degli articoli 17, comma 3,  lettera  a),  19  e  20
delle relative Norme tecniche di attuazione (NTA). 
    In particolare, l'art. 20, comma 1, lettera a), delle  NTA  vieta
nuove costruzioni in aree inedificate, se non gia' riconducibili alle
fattispecie di cui al comma 2 del medesimo art. 20. Non  e'  prevista
la possibilita' di una nuova edificazione riferita  alle  abitazioni,
come invece introdotta dal nuovo comma 9-bis, sopra richiamato. 
    Estremamente critica appare la disposizione contenuta  nel  nuovo
comma 7-bis, introdotto dalla lettera g), che  consente,  nelle  zone
urbanistiche B, C  ed  F,  la  realizzazione  o  l'ampliamento  delle
verande coperte fino ad un massimo di 1/3  della  superficie  coperta
realizzabile, senza  neppure  richiamare  il  necessario  obbligo  di
autorizzazione  paesaggistica   (da   rendere   peraltro   in   forma
semplificata ai sensi della voce n. B.26 di  cui  all'Allegato  B  al
Regolamento di semplificazione di cui al decreto del Presidente della
Repubblica n. 31 del 2017). 
    Tutte  le  previsioni  regionali   volte   a   consentire   nuovi
ampliamenti  volumetrici  al  di  fuori  del  Piano  paesaggistico  e
potenzialmente in deroga ad esso, invadono  la  potesta'  legislativa
esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio, di cui all'art.
117, secondo comma, lettera s). 
    Il  nuovo  comma  7-bis,  che   consente   la   realizzazione   o
l'ampliamento delle  verande  coperte,  risulta  anche  lesivo  della
potesta' dello  Stato  in  materia  di  «determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali
che devono essere garantiti su tutto  il  territorio  nazionale»,  ai
sensi all'art. 117, secondo comma, lettera  m),  della  Costituzione,
atteso che tali prestazioni includono anche la portata e  la  valenza
dell'autorizzazione paesaggistica, che  deve  essere  necessariamente
uniforme sull'intero territorio nazionale e si impongono  anche  alle
regioni e province autonome (cfr., al riguardo, Corte  costituzionale
24 luglio 2012, n. 107, pronunciata  nei  confronti  della  Provincia
autonoma di Trento, e Corte costituzionale n. 189 del 2016). 
    Le previsioni di incrementi volumetrici generalizzati, in  deroga
alla  pianificazione  urbanistica,  e  senza  che  sia  garantito  il
rispetto degli standard urbanistici comporta, inoltre, la  violazione
delle norme di grande  riforma  economico-sociale  che  si  impongono
anche nei confronti della Regione  autonoma  della  Sardegna  qualora
essa legiferi in materia edilizia. 
    La norma in questione dunque  e'  costituzionalmente  illegittima
per violazione in primo luogo degli articoli 9, 117,  primo  comma  e
secondo comma, lettera s),  della  Costituzione,  rispetto  ai  quali
costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e  156  del
Codice dei beni culturali e del paesaggio, l'art. 5,  comma  11,  del
decreto-legge n. 70  del  2011,  e  la  legge  n.  14  del  2006,  di
recepimento della Convenzione europea sul paesaggio. 
    E' poi illegittima  per  violazione  dell'art.  3  dello  statuto
speciale, come attuato  mediante  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 480 del 1975, per contrasto  con  le  norme  di  grande
riforma economico-sociale costituite dai  principi  di  cui  all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come
attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del  1968,  recepito
dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e  il  d.P.G.  n.
228  del  1994),  all'art.  2-bis  e  all'art.  14  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del  2001,  all'intesa  sul  piano
casa  del  2009,  fondata   sulla   previsione   dell'art.   11   del
decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art. 5, commi 9 e seguenti,  del
decreto-legge n. 70 del 2011. 
    Infine e' illegittima per la violazione del  principio  di  leale
collaborazione, avendo unilateralmente disposto in  materia  affidata
alla necessaria copianificazione con lo Stato. 
5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge regionale 18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9  e  117,  primo  e
secondo comma, lettere  m)  e  s)  della  Costituzione,  nonche'  per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in questione modifica l'art. 31 della  precedente  legge
regionale n. 8 del 2015, avente ad oggetto «Interventi di  incremento
volumetrico delle  strutture  destinate  all'esercizio  di  attivita'
turistico-ricettive, sanitarie e socio-sanitarie». 
    Essa  prevede  nuovi  e  maggiori  incrementi  volumetrici  delle
strutture destinate all'esercizio di  attivita'  turistico-ricettive,
sanitarie  e  sociosanitarie.  E  cio'  anche   in   aree   vincolate
paesaggisticamente (in quanto restano escluse le sole  fasce  di  300
metri dalla linea di battigia marina),  comportando  una  sistematica
violazione delle previsioni e prescrizioni  del  piano  paesaggistico
regionale, le quali non trovano applicazione, essendo  sostituite  in
toto  dalle  previsioni  generalizzate  di  ampliamenti   volumetrici
consentiti dalle norme regionali censurate. 
    La disciplina dell'art. 31 della legge regionale n. 8  del  2015,
come  novellata,  consente,  inoltre,  nuove  edificazioni  in   aree
paesaggisticamente tutelate e vincolate (cfr. comma  1,  lettera  b),
laddove prevede che gli interventi di ristrutturazione e rinnovamento
comportanti incrementi volumetrici possano avvenire  «anche  mediante
la realizzazione di corpi di fabbrica separati»; nello  stesso  senso
il  nuovo  comma  7-quater,  con  riferimento  all'ampliamento  delle
strutture destinate all'esercizio di  attivita'  di  turismo  rurale,
anche  nella  «Fascia  costiera»,  bene  paesaggistico  tipizzato   e
individuato dal PPR ai sensi degli articoli 17, comma 3, lettera  a),
19 e 20 delle relative NTA. In  particolare,  le  NTA  vietano  nuove
costruzioni in aree inedificate e non prevedono  la  possibilita'  di
ampliamento    delle     strutture     destinate     ad     attivita'
turistico-ricettive,   ne'   tantomeno   di   quelle   «sanitarie   e
socio-sanitarie», di nuova introduzione a opera dell'art. 5 in  esame
(cfr. comma 1, lettera a). 
    Anche il nuovo comma 7-bis si presta a censura,  nella  parte  in
cui consente «... per un periodo non superiore  a  duecento  quaranta
giorni, la chiusura con elementi amovibili,  anche  a  tenuta,  delle
verande  coperte  gia'  legittimamente  autorizzate   nelle   singole
strutture turistiche  ricettive»  e  cio'  anche  in  aree  vincolate
paesaggisticamente, senza il necessario rispetto delle  previsioni  e
prescrizioni del  piano  paesaggistico  regionale.  Inoltre,  non  e'
richiesta l'autorizzazione paesaggistica  di  cui  all'art.  146  del
Codice, da rendere in forma semplificata ai  sensi  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 31 del 2017 (voce  B.26  dell'Allegato
B), con conseguente violazione anche  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m) Cost. 
    Il nuovo comma 7-ter, poi, stabilisce che «... Le  coperture  per
piscine sono assimilate alle opere di edilizia libera di cui all'art.
15 della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia  di
controllo   dell'attivita'   urbanistico-edilizia,   di   risanamento
urbanistico e di sanatoria  di  insediamenti  ed  opere  abusive,  di
snellimento ed accelerazione delle  procedure  espropriative)  e  non
incidono sulla volumetria e sulla superficie coperta ...». 
    Con tale previsione la  Regione  sottrae  al  regime  dei  titoli
edilizi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380  del
2001  e  alle  previsioni  e  prescrizioni  del  Piano  paesaggistico
regionale detti interventi di copertura, assimilandoli alle opere  di
edilizia libera,  e  cio'  anche  se  realizzati  in  aree  vincolate
paesaggistica-mente, pur trattandosi di interventi potenzialmente  di
rilevante  impatto  paesaggistico  (al  pari  delle   piscine;   cfr.
Tribunale amministrativo regionale Lazio,  Sez.  II  bis,  7  ottobre
2019, n. 11586; Cassazione pen., n. 1913 del 2019). 
    Va rilevato  che  la  copertura  di  una  piscina  non  e'  opera
destinata a soddisfare esigenze meramente temporanee,  posto  che  la
copertura,  anche  qualora  venisse  utilizzata  stagionalmente,   e'
destinata certamente a permanere in loco con carattere di stabilita'.
Al riguardo, va ribadito che la nozione di edilizia  libera,  di  cui
all'art. 6 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  380  del
2001 (di cui l'art. 15 della  legge  regionale  n.  23  del  1985  e'
riproduttivo), si riferisce a opere che devono essere  realizzate  in
conformita' con i vigenti strumenti urbanistici, e che non  producano
un significativo incremento del carico urbanistico:  in  particolare,
per quanto concerne le opere precarie, queste devono essere destinate
a soddisfare esigenze temporanee  e  contingenti  e  suscettibili  di
essere rimosse al cessare della necessita'  che  le  ha  determinate.
Pertanto, la disposizione in  esame  introduce  una  significativa  e
impattante deroga alle disposizioni  statali  in  materia  di  titoli
edilizi, costituenti principi fondamentali della legislazione statale
in materia edilizia, esorbitando i limiti  dell'autonomia  consentita
alla disciplina regionale dallo statuto della Regione Sardegna. 
    La norma qui censurata, ad eccezione della lettera g) e' pertanto
nel suo complesso costituzionalmente illegittima  per  violazione  in
primo luogo degli articoli 9,  117,  primo  comma  e  secondo  comma,
lettera s), Cost., rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte
gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e  del
paesaggio, l'art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, e la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio. 
    E' poi illegittima  per  violazione  dell'art.  3  dello  Statuto
Speciale, come attuato  mediante  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 480 del  1975,  che  impone  il  rispetto  delle  norme
fondamentali di riforma economico sociale dettate dallo Stato, e  qui
costituite dall'art. 41-quinquies, ottavo e nono comma,  della  legge
n. 1150  del  1942,  dagli  articoli  2-bis  e  14  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001,  dall'intesa  sul  piano
casa  del  2009,  fondata   sulla   previsione   dell'art.   11   del
decreto-legge n. 112 del 2008, e dall'art. 5, commi 9 e seguenti, del
decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E' infine illegittima  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione per le ragioni gia' piu' volte  dette  e  che  qui  si
richiamano. 
    Con particolare riferimento alla lettera i) si deduce l'ulteriore
violazione dell'art. 117, comma  2,  lettera  m)  della  Costituzione
perche' essa lede in entrambi  i  commi  introdotti  alla  precedente
legge l'obbligo, che spetta  allo  Stato,  di  assicurare  i  livelli
essenziali  delle  prestazioni  concernenti  i  diritti  civili   dei
cittadini. 
6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge regionale 18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9 e 117, commi primo
e secondo, lettera s) della Costituzione, nonche' dell'art.  3  dello
Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in questione reca  modifiche  all'art.  32  della  legge
regionale n. 8 del 2015, concernente «Interventi per il riuso  e  per
il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti». 
    In sintesi, le disposizioni sono volte: 
        ad ampliare il novero delle ipotesi in cui  e'  configurabile
un sottotetto suscettibile di recupero abitativo, includendovi  anche
agli «spazi» cui si riferisce il comma 1 e ridefinendo la nozione  di
sottotetto nel nuovo comma 3-ter dell'art. 32 della  legge  regionale
n. 8 del 2015; 
        ad estendere le zone urbanistiche in cui sono consentiti  gli
interventi di riuso  dei  sottotetti  esistenti  per  il  solo  scopo
abitativo (sono aggiunte le zone E ed F); 
        a consentire sugli edifici ad uso residenziale con  copertura
a falde modifiche esterne fino a 50 centimetri di altezza all'imposta
interna della falda (nuovo comma 3-quater); 
        a estendere anche alle  zone  urbanistiche  A  (limitatamente
agli edifici che non conservano rilevanti tracce dell'assetto storico
e che siano in contrasto con i' caratteri architettonici e tipologici
del  contesto)  ed  F  gli  interventi  di  recupero  con  incremento
volumetrico dei sottotetti esistenti per il solo scopo abitativo. 
    Le  modifiche  apportate  alla  lettera  b)  del  comma  6  e  la
soppressione della lettera b) del  comma  8  sono  rivolte  infine  a
rimuovere alcuni limiti agli interventi di  recupero  con  incremento
volumetrico dei sottotetti. Anche questa disposizione  confligge  con
la normativa statale,  laddove  disciplina,  direttamente  e  in  via
autonoma, le possibili trasformazioni delle coperture degli  edifici,
potenzialmente  anche  molto  rilevanti   per   il   paesaggio.   Con
riferimento ai  sottotetti  ricadenti  in  ambiti  paesaggisticamente
tutelati, la legge regionale nella  sostanza  sottrae  la  disciplina
degli interventi alla sede propria del piano paesaggistico, menomando
conseguentemente l'impianto sistematico della tutela delineato  dalle
norme statali di grande riforma economico-sociale. 
    La  deroga  sistematica  e  generalizzata   alla   pianificazione
urbanistica comporta, inoltre, la violazione anche dei principi, gia'
sopra richiamati, posti dall'art. 41-quinquies della  legge  n.  1150
del 1942, come attuati dal decreto ministeriale  n.  1444  del  1968,
recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983. 
    L'art.  6  della  legge   regionale   n.   1/2021   e'   pertanto
costituzionalmente illegittimo per violazione in  primo  luogo  degli
articoli 9, 117, primo comma e  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
rispetto ai quali costituiscono norme interposte  gli  articoli  135,
143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio,  l'art.
5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, e la legge n.  14  del
2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio. 
    E' di poi illegittimo per violazione dell'art.  3  dello  statuto
speciale, come attuato  mediante  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 480 del 1975,  contrastando  con  le  norme  di  grande
riforma economico-sociale costituite dai  principi  di  cui  all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, agli
articoli 2-bis e 14 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380 del 2001, all'intesa sul  piano  casa  del  2009,  fondata  sulla
previsione dell'art. 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art.
5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E' infine illegittimo, per i motivi  piu'  volte  ricordati,  per
violazione del principio di leale collaborazione. 
7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge regionale 18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9  e  117,  primo  e
secondo comma, lettera s) della Costituzione, nonche' per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della regione Sardegna. 
    Questa norma introduce nella legge regionale  n  8  del  2015  un
nuovo articolo, il 32-bis, concernente gli  «Interventi  di  recupero
dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra». 
    Le   disposizioni   introdotte   consentono   il   recupero    di
seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra,  e  sono
applicabili  indiscriminatamente  anche  ai  beni  paesaggistici,  in
quanto il comma 6 vieta il recupero nelle  sole  aree  dichiarate  di
pericolosita' idraulica elevata o molto elevata  ovvero  in  aree  di
pari pericolosita' da frana. 
    Il recupero dei piani pilotis, in particolare, ove comportante la
chiusura delle superfici aperte, a  piano  terra  o  piano  rialzato,
delimitate  da  colonne  portanti,  appare  in  grado   di   alterare
profondamente l'aspetto esteriore dei  fabbricati,  comportandone  lo
stravolgimento a livello visivo. 
    La previsione, ancora una volta, di  una  disciplina  generale  e
astratta dettata dalla Regione, in deroga alla disciplina urbanistica
e paesaggistica, determina la violazione delle norme e  dei  principi
gia' sopra richiamati, perche' lesiva  della  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato nella tutela del paesaggio. 
    Inoltre, il comma 6 del nuovo art. 32-bis della  legge  regionale
n. 8 del 2015, stabilisce che «il recupero a fini abitativi dei piani
e  locali  di  cui  al  presente  articolo  e'  vietato  nelle   aree
dichiarate,  ai  sensi  della  legge  18  maggio  1989,  n.  183,  di
pericolosita' idraulica elevata o molto elevata (Hi3 o  (Hi4)  ovvero
in aree di pericolosita' da frana elevata  o  molto  elevata  (Hg3  o
Hg4).». 
    Tale disposizione si pone in  contrasto  con  le  previsioni  del
Piano di assetto idrogeologico  (PAI)  della  Sardegna,  disciplinate
dalle Norme di attuazione (NdA). 
    Al riguardo, si evidenzia che l'art. 65,  comma  4,  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dispone che «Le  disposizioni  del
Piano di bacino approvato hanno carattere  immediatamente  vincolante
per le amministrazioni ed  enti  pubblici,  nonche'  per  i  soggetti
privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate  di  tale  efficacia
dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi  di
sviluppo socio-economico e di assetto ed uso  del  territorio  devono
essere coordinati, o comunque non  in  contrasto,  con  il  Piano  di
bacino approvato». 
    Le direttive del PAI, avente  valore  di  Piano  territoriale  di
settore ai fini della prevenzione del  rischio  idrogeologico,  nello
specifico riguardo dell'uso dei locali interrati e seminterrati  sono
esplicitate all'art. 49 delle NdA, e stabiliscono che «La Regione, al
fine di ridurre la vulnerabilita' degli elementi a  rischio,  approva
norme che  incentivano  la  realizzazione  volontaria  di  misure  di
protezione locale  ed  individuale  degli  edifici  esistenti,  quali
misure  per  la  dismissione  volontaria  e  definitiva  dei   locali
interrati  e  seminterrati  esistenti  in  zone   caratterizzate   da
pericolosita'  idrogeologica  e  altre   misure   di   autoprotezione
individuale, comprese misure di proofing e retrofitting.». 
    Questo specifico indirizzo, sia pure di carattere  generale,  non
limita gli effetti alle sole aree a pericolosita' e a rischio elevato
e molto elevato, ma li  estende  a  tutte  le  aree  a  pericolosita'
idrogeologica, includendo in queste anche quelle non gia' perimetrate
dal PAI, ma considerate nell'art. 30-ter recante  «Identificazione  e
disciplina  delle  aree  di  pericolosita'  quale  misura  di   prima
salvaguardia»  o  risultanti  dalle   attivita'   di   pianificazione
urbanistica dei Comuni, ai sensi dell'art. 8 dettante «Indirizzi  per
la pianificazione urbanistica e per l'uso di aree di costa». 
    La mancata coerenza della legge regionale con le prescrizioni del
PAI, peraltro, non si rileva soltanto nelle succitate disposizioni di
carattere generale, ma anche nelle specifiche previsioni  di  cui  al
comma 2-bis dell'art. 29  «Disciplina  delle  aree  di  pericolosita'
idraulica media» delle NdA, che espressamente prevede che «Tutti  gli
interventi del precedente comma sono consentiti a condizione che  per
essi non sia prevista la realizzazione di nuovi  volumi  interrati  e
seminterrati». 
    Questa specifica disposizione si pone  in  contrasto  con  l'art.
117, secondo comma, lettera s)  della  Costituzione  anche  sotto  il
profilo della invasione della competenza esclusiva che lo Stato ha in
materia di tutela dell'ambiente in quanto viola la  norma  interposta
costituita dall'art. 65, comma 4 del  decreto  legislativo  3  aprile
2006, n. 152. 
8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge regionale 18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9 e 117, commi primo
e secondo, lettera s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma qui  citata  reca  modifiche  all'art.  33  della  legge
regionale n. 8 del 2015, concernente gli  «Interventi  per  il  riuso
degli spazi di grande altezza». 
    In particolare, la lettera a) prevede  che  la  realizzazione  di
soppalchi sia consentita non piu' soltanto nelle zone urbanistiche A,
B e C, ma anche nelle zone D, E ed  F,  in  queste  ultime  oltre  la
fascia dei 300 metri dalla battigia marina. 
    Al riguardo, occorre osservare che l'ampliamento del novero degli
edifici ai quali si applica la disciplina in  esame  determina  anche
l'applicazione dell'eccezione di cui al comma 4 del predetto art. 33,
ove si prevede che «(...) Nelle  zone  urbanistiche  A  sono  ammesse
nuove  aperture  finestrate  solo  se  previste  in  sede  di   piano
particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale.  Per  le
altre zone  urbanistiche  l'apertura  di  eventuali  nuove  superfici
finestrate e' ammessa  nel  rispetto  delle  regole  compositive  del
prospetto». Soltanto nelle zone A e' quindi  assicurato  il  rispetto
del Piano paesaggistico, mentre in tutte le altre zone del territorio
comunale gli interventi - si deduce - possono essere realizzati anche
in deroga al PPR. 
    Il nuovo comma 6-bis, aggiunto al predetto  art.  33,  stabilisce
poi che «In caso di realizzazione  di  spazi  di  grande  altezza  in
edifici  esistenti,  mediante  la  demolizione  parziale  di   solaio
intermedio,  e'  escluso  il   ricalcolo   del   volume   urbanistico
dell'edificio  o  della  porzione  di  edificio,  anche  in  caso  di
riutilizzo di spazi sottotetto  che  originariamente  non  realizzano
cubatura, a condizione che non si realizzino mutamenti  nella  sagoma
dell'edificio o nella porzione di edificio». 
    Con questa disposizione si viene, ancora una  volta,  a  derogare
all'art. 41-quinquies della legge n. 1150  del  1942,  in  quanto  si
prevede la realizzazione di volumi che non vengono computati ai  fini
degli standard urbanistici. 
    La norma, pertanto, si  presenta  costituzionalmente  illegittima
perche' lesiva della competenza esclusiva dello Stato in  materia  di
tutela del paesaggio e degli accordi assunti in sede  internazionale,
e quindi per violazione  degli  articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)   della   Costituzione,   rispetto   ai   quali
costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e  156  del
Codice dei beni culturali e del paesaggio, l'art. 5,  comma  11,  del
decreto-legge n. 70  del  2011,  e  la  legge  n.  14  del  2006,  di
recepimento della Convenzione europea sul paesaggio. 
    E' quindi  illegittima  perche'  viola  l'art.  3  dello  Statuto
speciale, come attuato  mediante  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n.  480  del  1975,  contrastando  pur  nell'ambito  della
competenza legislativa regionale, con  le  norme  di  grande  riforma
economico-sociale   costituite   dai   principi   di   cui   all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, agli
articoli 2-bis e 14 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380 del 2001, all'intesa sul  piano  casa  del  2009,  fondata  sulla
previsione dell'art. 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art.
5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E' infine illegittima, per i motivi gia' dedotti  in  precedenza,
per violazione del principio di leale collaborazione. 
9. Illegittimita' costituzionale dell'art. 9 della legge regionale 18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 9 e 117, commi primo
e secondo, lettera s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art. 9 della legge  regionale  n.  1/2021  introduce  modifiche
all'art. 34 della legge regionale n. 8 del 2015, ove sono individuati
i casi in cui gli interventi  previsti  del  Capo  I  «Norme  per  il
miglioramento del patrimonio esistente» del Titolo II della legge  n.
15 del 2015 (articoli da 30 a 37) non sono ammessi. 
    Tutte le modifiche apportate all'art. 34 sono volte a restringere
le  categorie  di  beni  sottratti  all'applicazione   della   legge,
ampliando conseguentemente la portata delle deroghe  consentite  alla
disciplina urbanistica e paesaggistica. Con la modifica della lettera
f)  gli  interventi  possono  ora  riguardare   anche   «gli   ambiti
territoriali ove  si  renda  opportuno  il  recupero  del  patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente», nonche' i «manufatti e  complessi
di importanza storico-artistica ed ambientale,  anche  non  vincolati
dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, e dalla legge 29 giugno 1939, n.
1487» (cfr. art. 19, comma 1, lettera h), della legge regionale n. 45
del 1989). 
    Ma, fatto ben piu' grave, e' stata soppressa la  lettera  h)  del
medesimo comma, ai sensi della quale gli interventi non erano ammessi
«h) negli edifici e nelle unita' immobiliari ricadenti nei centri  di
antica e prima formazione ricompresi in  zone  urbanistiche  omogenee
diverse dalla A, ad eccezione di quelli che non conservano  rilevanti
tracce dell'assetto storico  e  che  siano  riconosciuti,  dal  piano
particolareggiato o con  deliberazione  del  consiglio  comunale,  in
contrasto con i caratteri architettonici e tipologici  del  contesto;
la deliberazione deve riguardare l'intero centro di  antica  e  prima
formazione, esplicitare i  criteri  seguiti  nell'analisi  ed  essere
adottata in data anteriore  a  qualsiasi  intervento  di  ampliamento
richiesto ai sensi degli articoli 30, 31 e 32, commi 4,  5,  6  e  7;
tale delibera e' soggetta ad approvazione ai sensi dell'art. 9  della
legge  regionale  n.  28  del  1998,  e   successive   modifiche   ed
integrazioni. La presente disposizione non si applica agli interventi
di cui agli articoli 32, commi 2 e 3, e 33, per la cui ammissibilita'
devono essere verificati la compatibilita' tipologica con i caratteri
costruttivi ed architettonici degli edifici interessati e il rispetto
delle regole compositive del prospetto originario  nel  caso  in  cui
alterino l'aspetto esteriore dell'edificio». 
    La   lettera   h),   oggetto    di    soppressione,    comportava
l'inapplicabilita'  degli  interventi  de  quibus  per  gli  immobili
ricadenti nei «centri di antica e prima formazione». 
    Tali contesti sono stati  tipizzati  e  individuati  dal  vigente
piano paesaggistico regionale come beni paesaggistici di cui all'art.
134, comma 1, lettera c), del Codice (nel testo  allora  vigente;  v.
NTA del PPR, art. 47, comma 2, lettera c), punto 2, e art. 51), oltre
ad essere soggetti in alcuni casi ad  altre  disposizioni  di  tutela
paesaggistica (sulla base  di  dichiarazioni  di  notevole  interesse
pubblico). 
    L'art. 47, comma 2,  lettera  c),  punto  2)  delle  NTA  prevede
infatti che le «Aree caratterizzate da insediamenti storici,  di  cui
al successivo art. 51» rientrino  nell'assetto  territoriale  storico
culturale regionale quale specifica categoria di beni  paesaggistici.
A sua volta, l'art.  51  NTA  definisce  le  aree  caratterizzate  da
insediamenti storici. 
    L'eventuale variazione delle norme di gestione e uso  delle  aree
tutelate paesaggisticamente deve essere oggetto  di  copianificazione
paesaggistica  con  il  Ministero  e  non  puo'   essere   modificata
unilateralmente dalla Regione, mediante proprie norme. 
    L'art. 9 qui esaminato e' pertanto costituzionalmente illegittimo
per violazione degli articoli 9, 117, primo comma  e  secondo  comma,
lettera s), Cost., rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte
gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e  del
paesaggio, l'art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, e la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, perche' intervengono a disciplinare una materia  riservata
alla competenza esclusiva dello Stato e per di  piu'  contro  impegni
assunti in sede internazionale. 
    In secondo luogo e' illegittimo per violazione dell'art. 3  dello
Statuto speciale, come attuato mediante  il  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 480 del 1975, perche' pur in  ipotesi  in  ambito
legislativamente di competenza regionale, comunque contrasta  con  le
norme di grande riforma economico-sociale costituite dai principi  di
cui all'art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge  n.  1150
del 1942, agli articoli 2-bis e 14 del decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001,  all'intesa  sul  piano  casa  del  2009,
fondata sulla previsione dell'art. 11 del decreto-legge  n.  112  del
2008, e all'art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n.  70  del
2011. 
    E' infine illegittimo, come gli altri che nel presente ricorso lo
precedono, per la violazione del principio  di  leale  collaborazione
con lo Stato in materia riservata alla copianificazione . 
10. Illegittimita' dell'art. 11  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in questione apporta modifiche all'art. 36  della  legge
regionale n. 8 del 2015, recante disposizioni comuni all'intero  Capo
I del Titolo II. In particolare, il comma 1, lettera a), sopprime  la
parola «non» nel comma 2 del predetto art. 36, che per effetto  della
modifica viene  cosi'  riformulato:  «I  volumi  oggetto  di  condono
edilizio sono computati nella determinazione del  volume  urbanistico
cui parametrare l'incremento volumetrico». 
    La norma ha l'effetto  dirompente  di  capovolgere  il  principio
statale, posto alla base del c.d. piano casa, in base  al  quale  gli
abusi edilizi, benche' oggetto di sanatoria, non sono mai computabili
ai fini di ottenere premialita' edilizie su quei volumi,  pur  sempre
frutto di attivita' illecita. 
    Cio' risulta espressamente nell'intesa del 2009  sul  c.d.  piano
casa, nella quale si prevede che «Tali interventi edilizi non possono
riferirsi ad edifici abusivi o  nei  centri  storici  o  in  aree  di
inedificabilita' assoluta». 
    Inoltre, l'art. 5, comma 10, del decreto-legge  n.  70  del  2011
(c.d. «piano casa due») prevede che «Gli interventi di cui al comma 9
non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici  o
in aree ad inedificabilita' assoluta, con  esclusione  degli  edifici
per i quali sia stato rilasciato il titolo  abilitativo  edilizio  in
sanatoria». 
    La disposizione regionale  ha  inoltre  come  effetto  l'evidente
incremento    dell'edificazione    anche    in     aree     vincolate
paesaggisticamente, per le quali, a far  data  dal  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, e' stato stabilito il principio  c.d.  del
«divieto di sanatoria ex post» (salvi i limitatissimi  casi  previsti
dall'art. 167, comma 4, del Codice). 
    Le ulteriori modifiche introdotte dall'art. 11, comma 1,  lettere
b), f), g) e h), quest'ultima con riferimento al neo introdotto comma
15-ter, sono tutte volte  a  consentire  ampliamenti  volumetrici  in
deroga alla disciplina urbanistica e paesaggistica, o a consentire la
monetizzazione degli standard per parcheggi. 
    Si evidenzia peraltro che l'inciso posto alla fine della  lettera
c-bis) del comma  3  dell'attuale  art.  36  «e  ferme  le  eventuali
ulteriori   limitazioni   derivanti   dalle   vigenti    disposizioni
paesaggistiche» (riferito agli  incrementi  volumetrici  in  zona  E)
rende ancora piu'  evidente  l'intento  derogatorio  alla  disciplina
paesaggistica del legislatore regionale in tutti gli altri casi. 
    L'art. 11 (ad eccezione delle lettere  c)  ed  e)  che  non  sono
interessate dalle censure) e' pertanto costituzionalmente illegittimo
per violazione degli articoli 9, 117, primo comma  e  secondo  comma,
lettera s), Cost., rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte
gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e  del
paesaggio, l'art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, e la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio,  in  quanto  intervengono  in   materia   riservata   alla
competenza statale e per di piu' contro impegni assunto  dallo  Stato
in sede internazionale. 
    E' poi illegittimo  per  violazione  dell'art.  3  dello  Statuto
speciale della Regione Sardegna perche', pur se in  ipotesi  operando
nell'alveo  della  competenza  legislativa   regionale   in   materia
edilizia, comunque contrasta con le norme di grande riforma economico
costituite dai principi di cui all'art. 41-quinquies, ottavo  e  nono
comma, della legge n. 1150 del 1942, agli articoli  2-bis  e  14  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del  2001,  all'intesa
sul piano casa del 2009, fondata sulla previsione  dell'art.  11  del
decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art. 5, commi 9 e seguenti,  del
decreto-legge n. 70 del  2011,  nonche'  con  l'espresso  divieto  di
applicazione del c.d.  primo  piano  casa  agli  immobili  condonati,
previsto dall'Intesa del 2009. 
    E'  infine  illegittimo,  per   i   motivi   gia'   ripetutamente
argomentati per violazione del principio di leale collaborazione  con
lo Stato. 
11. Illegittimita' dell'art. 12  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art.  12  della  legge  regionale  n.  1   del   2021   apporta
modificazioni all'art. 38  della  legge  regionale  n.  8  del  2015,
concernente gli  «Interventi  di  trasferimento  volumetrico  per  la
riqualificazione ambientale e paesaggistica». 
    Il predetto  art.  38  prevede,  al  comma  1,  che  «La  Regione
promuove, al .fine di conseguire la riqualificazione del contesto, il
miglioramento della qualita' dell'abitare e la messa in sicurezza del
territorio,  il  trasferimento  del  patrimonio  edilizio   esistente
mediante interventi di demolizione  e  ricostruzione  con  differente
localizzazione degli edifici» ricadenti in alcuni contesti  indicati.
Il  successivo  comma  2  prevede,  per  i  predetti  interventi,  la
concessione di una premialita' volumetrica, da deliberarsi  da  parte
del Consiglio comunale. 
    Le novelle apportate all'art. 38 della legge regionale n.  8  del
2015 sono volte: 
        a stabilire che la premialita' volumetrica per gli interventi
di demo-ricostruzione con delocalizzazione sia  sempre  «del  40  per
cento», e non piu'  al  massimo  del  40  per  cento  (cfr.  modifica
apportata al comma 2 dell' art. 38); 
        a sostituire il comma 3 con la seguente  previsione  «Per  il
conseguimento  dell'incremento  volumetrico  del  40  per  cento   e'
consentita,  qualora   necessaria,   la   variante   allo   strumento
urbanistico generale, anche su proposta del privato  interessato  che
individua, nel rispetto dei parametri urbanistici ed edilizi previsti
dalle  disposizioni  regionali,  una  idonea  localizzazione  per  il
trasferimento dei  volumi,  anche  se  provenienti  da  diverse  zone
omogenee e senza limiti di distanza tra le medesime. Nelle zone E  ed
H non e' ammesso  il  trasferimento  dei  volumi.  Nelle  zone  F  il
trasferimento dei volumi e' ammesso nel rispetto di  quanto  previsto
dall'art. 38, comma 4»; 
        a incrementare da 3 metri a 4,5  metri  per  ciascun  livello
fuori terra esistente l'altezza cui  ragguagliare  la  determinazione
del  volume,  con  riferimento  alle   destinazioni   artigianale   e
industriale, commerciale  e  agricolo-zootecnica  (cfr.  modifica  al
comma 7); 
        a imporre la dotazione dell'edificio  da  ricostruire  di  un
idoneo impianto  di  elevazione  per  il  trasporto  verticale  delle
persone, qualora plurimmobiliare con almeno tre livelli fuori  terra,
laddove prima tale obbligo era previsto anche per gli edifici con due
livelli fuori terra (cfr. modifica al comma 9); modifica, questa, che
appare  pregiudicare  persino  le  esigenze  di  abbattimento   delle
barriere architettoniche. 
    Le suddette modifiche riformano e rendono di maggiore impatto sul
territorio la disciplina del predetto art. 38, mediante la  quale  la
Regione ha dettato unilateralmente,  in  deroga  alla  pianificazione
paesaggistica e urbanistica,  la  disciplina  della  delocalizzazione
degli edifici. 
    Per tali interventi non vale inoltre la  clausola  di  esclusione
per i beni culturali, di cui all'art. 34 della legge regionale  n.  8
del 2015, riferita al solo Capo I del Titolo II della legge n. 8  del
2015. 
    Se e' vero che gli edifici  potenzialmente  oggetto  della  norma
sono (tra l'altro) quelli ricadenti «in  aree  ricadenti  all'interno
delle zone urbanistiche omogenee E ed H ed interne al  perimetro  dei
beni paesaggistici di cui all'art. 142, comma 1, lettere a), b),  c),
ed i) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137), e successive  modifiche  ed  integrazioni»  (comma  1,
lettera a) e «all'interno del perimetro di tutela integrale  e  della
fascia  di  rispetto  condizionata  dei  beni  dell'assetto   storico
culturale  del  Piano  paesaggistico  regionale»  (comma  1,  lettera
e-bis), tuttavia casi e modi di  tale  delocalizzazione  (incluse  le
eventuali premialita' volumetriche) avrebbero dovuto essere  previsti
esclusivamente nell'ambito del piano paesaggistico regionale, in modo
da assicurare l'armonico inserimento  degli  interventi  nei  diversi
contesti territoriali,  e  non  invece  mediante  una  previsione  di
portata generale  dettata  unilateralmente  dalla  Regione.  Occorre,
infatti,   ribadire   che   spetta   al   piano   paesaggistico    la
«individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle
aree  significativamente  compromesse  o  degradate  e  degli   altri
interventi  di  valorizzazione  compatibili  con  le  esigenze  della
tutela» (cfr. art. 143, comma 1, lettera  g),  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio). 
    Per di piu', il comma 6 del predetto art. 38 stabilisce  che  «Le
disposizioni  del  presente  articolo  si  applicano   agli   edifici
legittimamente realizzati entro la data di entrata  in  vigore  della
presente  legge,  nonche'  nei  casi   di   edifici   successivamente
legittimati a seguito di positiva  conclusione  del  procedimento  di
condono  o  di  accertamento  di  conformita'  e,   ove   necessario,
dell'accertamento di compatibilita' paesaggistica». 
    In altri termini, la disciplina regionale  apre  la  strada  alla
possibilita' di condonare edifici in contrasto  con  il  contesto,  e
dunque  non  meritevoli  di  sanatoria,  per   poi   consentirne   la
delocalizzazione. E', pertanto,  evidente  come  l'ampliamento  della
portata applicativa di una tale disciplina non possa che ritenersi di
per se' manifestamente incostituzionale. 
    L'art.  12  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione degli articoli  9,  117,  primo  comma  e  secondo  comma,
lettera s), Cost., rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte
gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145  e  156  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, l'art. 5, comma 11, del  decreto-legge  n.
70 del 2011  e  la  legge  n.  14  del  2006,  di  recepimento  della
Convenzione  europea  sul  paesaggio,  intervenendo  a   disciplinare
materia riservata alla competenza esclusiva  dello  Stato  e  inoltre
discostandosi  dagli  impegni  internazionali  assunti  dallo  stesso
Stato. 
    E' poi illegittimo  per  violazione  dell'art.  3  dello  Statuto
speciale, come attuato  mediante  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 480 del 1975,  perche'  comunque  -  anche  per  quanto
attiene agli eventuali spazi di competenza  legislativa  regionale  -
contrasta con le norme di grande riforma economico sociale costituite
dai principi di cui all'art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della
legge n. 1150 del 1942, agli articoli 2-bis  e  14  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del  2001,  all'intesa  sul  piano
casa  del  2009,  fondata   sulla   previsione   dell'art.   11   del
decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art. 5, commi 9 e seguenti,  del
decreto-legge n. 70 del 2011. 
    Infine   e'   illegittimo   perche'   ignorando   l'obbligo    di
copianificazione  con  lo  Stato,  viola  il   principio   di   leale
collaborazione. 
12. Illegittimita' dell'art. 13  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo, lettere l) e s) della Costituzione, nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art. 13 della legge regionale n. 1  del  2021  introduce,  dopo
l'art. 38 della legge regionale n. 8 del 2015, un nuovo art.  38-bis,
concernente il «Trasferimento dei volumi realizzabili ricadenti nelle
zone  Hi4,  Hi3,  Hg4  ed  Hg3  del  Piano  stralcio  per   l'assetto
idrogeologico (PAI)». 
    Il comma 1  del  nuovo  art.  38-bis  dispone  che  «Al  fine  di
conseguire la riqualificazione dei relativi contesti e  la  messa  in
sicurezza del territorio, la Regione promuove ed incentiva interventi
di  trasferimento  dei  volumi  previsti  come  realizzabili   previa
approvazione di piani attuativi nelle zone  urbanistiche  C,  D  e  G
ricadenti nelle zone Hi3, Hi4, Hg3 ed Hg4 del PAL Nei limiti  di  cui
al presente articolo, la  Regione  promuove  analoghi  interventi  di
trasferimento  dei  volumi  previsti  come  realizzabili  nelle  zone
urbanistiche B ricadenti nelle zone Hi3, Hi4, Hg3 ed Hg4 del PAI». 
    Il successivo comma 2 stabilisce, poi, che «Gli interventi di cui
al comma 1 sono estesi ai volumi esistenti, legittimamente realizzati
nelle zone urbanistiche B, C, D, F e G ricadenti nelle zone Hi3, Hi4,
Hg3 ed Hg4 del PAI per i quali e' consentito il trasferimento, previa
approvazione di piani attuativi, in altre zone urbanistiche B, C,  D,
F e G del territorio comunale situate al fuori delle aree  a  rischio
idraulico o geologico, con incremento del volume del 35 per cento.  I
lavori di realizzazione dei volumi trasferiti  possono  avere  inizio
solo dopo l'avvenuta demolizione dell'edificio esistente». 
    I  successivi  commi  disciplinano  casi  e  modalita'  di   tale
delocalizzazione. 
    Al riguardo, oltre alle considerazioni gia'  svolte  diffusamente
in   ordine   alla   «fuga»   dal   piano   paesaggistico,    operata
illegittimamente dalla Regione, deve soprattutto  osservarsi  che  le
delocalizzazioni oggetto della disciplina  in  esame  riguardano  non
solo e non tanto gia' edifici esistenti, legittimamente realizzati in
ambiti successivamente  risultati  a  elevato  rischio  idrogeologico
(fattispecie contemplata al comma 2), ma anzitutto  e  principalmente
edifici non ancora realizzati in ambiti a rischio  idrogeologico.  In
tali casi, la conseguenza dell'approvazione del PAI  dovrebbe  essere
semplicemente quella di escludere o limitare le edificazioni, secondo
le modalita' previste dal predetto piano, e non  gia'  di  consentire
l'edificazione in altre aree del territorio comunale,  aggravando  il
relativo carico urbanistico. 
    La disciplina regionale riconosce invece ai  privati  proprietari
di aree astrattamente edificabili in base a un  originario  strumento
urbanistico  comunale,  sul  quale  si   siano   imposte   previsioni
confliggenti del PAI, una sorta di «diritto quesito» all'edificazione
(come e' noto, inconfigurabile  nell'ordinamento:  cfr.,  ex  multis,
Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3571), da  attuare  in  ogni
caso, senza che sia neppure garantito  che  la  diversa  dislocazione
delle  volumetrie,   potenzialmente   di   impatto   dirompente   sul
territorio, sia disciplinata nel quadro organico della pianificazione
paesaggistica. 
    Il legislatore ha infatti identificato nel PRG lo  strumento  che
incide sul territorio e sui diritti edificatori. 
    Il Giudice civile ha ribadito, anche di recente,  che  i  diritti
edificatori non sono  diritti  reali  ne'  obbligazioni  propter  rem
(Cassazione civile, Sez. Un. 29 ottobre 2020, n.  23902),  affermando
peraltro che: «E tuttavia, la disciplina di finte regionale, limitata
al governo del territorio ed alle relative prescrizioni conformative,
non  potrebbe  in  alcun  modo  spingersi  a  riempire  di  contenuto
civilistico  o  dominicale  gli  istituti  in  questione,  cosi'   da
sovrapporsi alla potesta' legislativa  esclusiva  ed  unitaria  dello
Stato in materia di ordinamento civile e di  diritto  di  proprieta';
cio' secondo quanto dettato dall'art.  117  Cost.,  come  piu'  volte
inteso  dal  giudice  delle  leggi,  nel  senso  che  la  limitazione
conformativa del  diritto  di  proprieta'  volta  ad  assicurarne  la
funzione  sociale  ben  puo'  essere  esercitata,  nelle  materie  di
competenza,  dalla  legge  regionale,   ferma   pero'   restando   la
preclusione  per  il  legislatore  regionale  di  interferire   sulla
disciplina dei diritti soggettivi  per  quanto  riguarda  "i  profili
civilistici dei rapporti da cui derivano, cioe' i modi di acquisto  e
di estinzione, i modi di  accertamento,  le  regole  sull'adempimento
delle obbligazioni e  sulla  responsabilita'  per  inadempimento,  la
disciplina della  responsabilita'  extracontrattuale,  i  limiti  dei
diritti di  proprieta'  connessi  ai  rapporti  di  vicinato,  e  via
esemplificando" (C. costituzionale sentenza n. 391/89 ed altre)». 
    L'art.  13  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione degli articoli  9,  117,  primo  comma  e  secondo  comma,
lettera s), Cost., rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte
gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145  e  156  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, l'art. 5, comma 11, del  decreto-legge  n.
70 del 2011  e  la  legge  n.  14  del  2006,  di  recepimento  della
Convenzione europea sul  paesaggio;  (iii)  del  principio  di  leale
collaborazione; (iv) dell'art. 3 dello statuto speciale, come attuato
mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975. 
    E' poi illegittimo per violazione dello stesso art. 117, comma 2,
lettera  l)  della  Costituzione  perche'  invasivo  della   potesta'
legislativa esclusiva dello Stato in materia di  ordinamento  civile,
stante la previsione del riconoscimento di un diritto  soggettivo  al
trasferimento delle volumetrie non realizzabili a causa  dei  vincoli
idrogeologici. 
    E' inoltre illegittimo per violazione dell'art. 3  dello  Statuto
speciale, come attuato  mediante  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 480 del  1975,  perche'  relativamente  agli  eventuali
poteri legislativi regionali  comunque  contrasta  con  le  norme  di
grande riforma economico  sociale  costituite  dai  principi  di  cui
all'art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n.  1150  del
1942, agli articoli 2-bis e  14  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001,  all'intesa  sul  piano  casa  del  2009,
fondata sulla previsione dell'art. 11 del decreto-legge  n.  112  del
2008, e all'art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n.  70  del
2011. 
    E' infine illegittimo, come  tutti  gli  altri  per  le  medesime
ragioni, perche' viola il principio di leale  collaborazione  con  lo
Stato. 
13. Illegittimita' dell'art. 14  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in esame modifica l'art. 39 della legge regionale  n.  8
del  2015,  concernente  il  rinnovo  del  patrimonio  edilizio   con
interventi di demolizione e ricostruzione. 
    In particolare, il comma 1 del predetto art.  39  stabilisce  che
«La  Regione  promuove  il  rinnovamento  del   patrimonio   edilizio
esistente mediante interventi di integrale demolizione  e  successiva
ricostruzione degli  edifici  esistenti  che  necessitino  di  essere
adeguati  in  relazione  ai  requisiti  qualitativi,  architettonici,
energetici,  tecnologici,  di  sicurezza   strutturale   e   per   il
superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche». 
    Tali interventi sono disciplinati nei successivi commi,  i  quali
sono fatti oggetto, dalle norme in esame, di una serie sistematica di
modifiche, volte ad ampliare enormemente l'ambito  applicativo  della
disciplina normativa e l'impatto sul territorio degli  interventi  di
demo-ricostruzione consentiti. 
    In particolare, le lettere a) e b) intervengono sui commi 2  e  3
dell'art. 39, che subordinavano gli interventi di  demo-ricostruzione
con  premialita'  volumetrica  alla   deliberazione   del   consiglio
comunale, rimettendo alla medesima delibera, nel caso  in  cui  fosse
prevista  la  ricostruzione  nel  medesimo  lotto   urbanistico,   la
determinazione dei parametri urbanistico-edilizi dell'intervento  nel
rispetto delle disposizioni vigenti, con  eventuale  superamento  dei
parametri  volumetrici  e   dell'altezza   previsti   dalle   vigenti
disposizioni  comunali  e  regionali.  L'effetto  della  novella   e'
sostituire  la  predetta  deliberazione   con   la   mera   determina
dell'ufficio comunale,  con  violazione  del  principio  fondamentale
espresso dal comma 11 dell'art. 5 del decreto-legge n. 70  del  2011,
che prevede «Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all'entrata
in vigore della normativa regionale, agli interventi di cui al citato
comma  si  applica  l'art.  14  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 6 giugno  2001,  n.  380  anche  per  il  mutamento  delle
destinazioni d'uso». Come e' noto, l'art. 14 del predetto decreto del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 richiede la delibera  del
Consiglio comunale per consentire, nei soli casi in cui  sussista  un
pubblico interesse, la realizzazione di  interventi  in  deroga  agli
strumenti  urbanistici.  Tale  previsione  e'  senz'altro  una  norma
fondamentale di  grande  riforma  economico-sociale,  non  derogabile
dalla  Regione  Sardegna  ai  sensi  dell'art.  3  dello  Statuto  di
autonomia speciale. Conseguentemente, le deroghe  e  le  eccezioni  a
tale  principio,  proprio  perche'   legate   da   un   rapporto   di
coessenzialita'  o  di  integrazione  necessaria,  partecipano  della
stessa natura di riforma economico-sociale e possono,  se  del  caso,
essere stabilite solo con legge dello Stato. 
    Se  e'  vero,  poi,  che  ai  sensi  dell'art.   5,   comma   11,
decreto-legge n. 70 del 2011 l'entrata  in  vigore  della  disciplina
regionale esclude l'applicabilita' del predetto  art.  14,  cio'  non
significa che sia consentito superare il principio  alla  base  della
suddetta previsione e, soprattutto, che sia  possibile  rimettere  la
deroga degli strumenti urbanistici a una  mera  determinazione  degli
uffici tecnici, senza passare per il necessario vaglio  degli  organi
politici comunali. 
    La lettera d) dell'art. 14 modifica  il  comma  6  dell'art.  39,
sostituendo le parole «entro la  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge»  con  le  seguenti:  «entro  il  31  dicembre  2020».
L'effetto della novella e' quello di estendere  l'ambito  applicativo
degli interventi di demo-ricostruzione, prima consentiti  solo  sugli
immobili realizzati o condonati entro la data di  entrata  in  vigore
della legge  n.  8  del  2015,  anche  «agli  edifici  legittimamente
realizzati entro il 31 dicembre 2020, nonche'  nei  casi  di  edifici
successivamente legittimati a seguito  di  positiva  conclusione  del
procedimento di condono o  di  accertamento  di  conformita'  e,  ove
necessario, dell'accertamento di  compatibilita'  paesaggistica».  Si
tratta di un'estensione  arbitraria  e  irragionevole  rispetto  alle
finalita' di riqualificazione e rigenerazione urbana della normativa,
che non hanno  ragion  d'essere  nei  confronti  di  immobili  appena
edificati. La normativa regionale si pone, inoltre, del tutto  al  di
fuori della disciplina di principio di cui  all'art.  5,  commi  9  e
seguenti, del decreto-legge  n.  70  del  2011;  disciplina  peraltro
anch'essa eccezionale (Corte cost. n. 217 del 2020)  e  destinata  ad
avere applicazione per un tempo limitato. 
    La lettera g) interviene sulla lettera e) del comma 13  dell'art.
39, che individua le aree, anche di rilievo culturale e paesaggistico
(«interne al perimetro dei beni paesaggistici di  cui  all'art.  142,
comma 1, lettere a), b), c), ed i) del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42»),  all'interno  delle  quali  non  sono  consentiti  gli
interventi previsti dal medesimo articolo. La novella ha lo scopo  di
delimitare  la  portata  della  esclusione  alle   sole   aree   gia'
individuate prima della presentazione dell'istanza, indipendentemente
dall'esito del  procedimento.  Cio'  rende  di  fatto  inefficace  la
(successiva)   individuazione   di   ulteriori    aree    d'interesse
paesaggistico ope legis per il solo fatto  della  mera  presentazione
della istanza di intervento. 
    La lettera h) interviene sulle ricostruzioni nelle fasce costiere
tutelate ope legis, inserendo  l'inciso  volto  a  precisare  che  le
stesse   sono   assentibili    «senza    l'obbligo    del    rispetto
dell'ubicazione,  della  sagoma  e  della  firma  del  fabbricato  da
demolire», con cio' disciplinando  direttamente  gli  interventi,  in
spregio al Piano paesaggistico approvato d'intesa con  lo  Stato,  al
quale spetta la  disciplina  d'uso  dei  beni  tutelati.  La  Regione
interviene cosi', ancora una volta autonomamente e unilateralmente, a
dettare la disciplina sui beni paesaggistici. 
    Inoltre, il comma  13  dell'art.  39,  nel  perimetrare  l'ambito
applicativo della disciplina del rinnovo del patrimonio edilizio  con
interventi  di  demolizione  e  ricostruzione,  non  esclude  i  beni
tutelati ai sensi della Parte II del Codice. La  predetta  disciplina
puo',  percio',  applicarsi   indiscriminatamente   anche   ai   beni
culturali, in violazione degli articoli 4, 20 e  21  del  Codice,  da
considerare norme di grande riforma economico-sociale, non derogabili
dalla Regione Sardegna. 
    L'art.  14  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione degli articoli  9,  117,  primo  comma  e  secondo  comma,
lettera s), Cost., rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte
gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145  e  156  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del  2006,  di  recepimento
della Convenzione europea sul paesaggio, e l'art. 5,  comma  11,  del
decreto-legge n. 70 del 2011. 
    La stessa norma e' illegittima per violazione dell'art.  3  dello
Statuto speciale, come attuato mediante  il  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 480 del 1975, contrastando  le  norme  di  grande
riforma economico sociale costituite dai  principi  di  cui  all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, agli
articoli 2-bis e 14 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380 del 2001, all'intesa sul  piano  casa  del  2009,  fondata  sulla
previsione dell'art. 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art.
5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E' infine illegittima per la violazione del  principio  di  leale
collaborazione con  lo  Stato  da  attuarsi  mediante  la  necessaria
copianificazione . 
14. Illegittimita' dell'art. 15  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art. 15 modifica l'art. 40 della legge regionale n. 8 del  2015
(Misure  di  promozione  dei  programmi  integrati  per  il  riordino
urbano). 
    In particolare, la lettera c) sostituisce il secondo periodo  del
comma  7  dell'art.  40  prevedendo  che  «Nessuna  zona  urbanistica
omogenea e'  aprioristicamente  esclusa».  Il  testo  precedente  del
periodo era cosi' formulato: «Sono esclusi dall'ambito di  intervento
i centri di antica e prima formazione e le zone urbanistiche omogenee
E e H». Per effetto della novella, il comma 7  dell'art.  40  risulta
ora cosi' formulato:  «I  comuni,  con  deliberazione  del  consiglio
comunale,  individuano,  con  riferimento  alle  destinazioni   dello
strumento  urbanistico  vigente  ed  in  conformita'  con  il   Piano
paesaggistico regionale, gli ambiti territoriali nei quali realizzare
gli  interventi  previsti  dai  programmi  per  il  riordino  urbano,
localizzandoli prioritariamente nelle zone  urbanistiche  omogenee  C
contigue all'ambito urbano e, quindi,  nelle  zone  D  e  G  contigue
all'ambito  urbano  e  non  completate  o  dismesse.   Nessuna   zona
urbanistica omogenea e' aprioristicamente esclusa». 
    Benche'  nella  disposizione  sia  espressamente   richiesta   la
conformita' al piano paesaggistico per l'individuazione degli  ambiti
territoriali nei quali realizzare gli interventi  previsti,  tuttavia
la Regione anche in questo caso interviene autonomamente a variare le
norme di gestione e uso delle aree tutelate  paesaggisticamente,  che
invece devono essere oggetto di copianificazione paesaggistica con lo
Stato. 
    La  modifica  unilaterale  della  Regione  viola  inoltre  quanto
concordato  con  il  Protocollo  d'Intesa  del  2007  e  il  relativo
disciplinare attuativo del 2018, ai sensi degli articoli  143  e  156
del Codice. 
    Come gia' evidenziato in relazione all'art. 9, si deve  osservare
che i «centri di antica e prima formazione» sono  beni  paesaggistici
tipizzati e individuati dal vigente Piano paesaggistico regionale  ai
sensi dell'allora vigente art. 134, comma 1, lettera c),  del  Codice
(v. Norme tecniche di attuazione - NTA del PPR,  art.  47,  comma  2,
lettera  c,  punto  2,  e  art.  51),  oltre   ad   essere   soggetti
eventualmente anche ad altre disposizioni di tutela paesaggistica, in
caso di dichiarazioni di notevole interesse pubblico. 
    Inoltre,  le  stesse  NTA  del  Piano   paesaggistico   regionale
contemplano la tutela delle aree agricole  (zone  omogenee  E  -  usi
agricoli) come  «componenti  di  paesaggio  con  valenza  ambientale»
suddivise nelle categorie di «aree  naturali  e  subnaturali»,  «aree
seminaturali» e «aree ad utilizzazioni  agro  forestale»  (cfr.  NTA,
articoli 21 e 22-30), le cui previsioni  di  conservazione  e  tutela
costituiscono norme di  gestione  e  uso  per  i  beni  paesaggistici
dell'Assetto ambientale del PPR (NTA, art. 18, comma 4), tra i  quali
beni paesaggistici ricadono anche quelli di cui all'art.  142,  comma
1, lettere g), f), h) e l) (NTA, art. 17, comma 4). 
    Le  zone  omogene  H  -  salvaguardia  ambientale  (di  cui  alla
definizione del decreto assessoriale 20 dicembre 1983 n. 2266/U) sono
costituite invece dalle «... parti del territorio non  classificabili
secondo  i  criteri  in  precedenza  definiti  e  che  rivestono   un
particolare valore speleologico,  archeologico,  paesaggistico  o  di
particolare interesse per la collettivita',  quali  fascia  costiera,
fascia  attorno  agli  agglomerati   urbani,   fascia   di   rispetto
cimiteriale, fascia lungo le strade statali provinciali e  comunali».
In merito al loro rapporto, attraverso il Piano urbanistico  comunale
(PUC) con il PPR, e'  stabilito  che  «...  dovranno  sostanzialmente
essere individuate in corrispondenza dei  beni  paesaggistici,  cosi'
come  identificati  e  classificati  dalle  NTA  del  PPR,  salve  le
eccezioni dovute ai beni paesaggistici altrimenti classificabili (es.
gli insediamenti storici identificati come zona  A).  Poiche'  tra  i
beni paesaggistici rientrano sia beni puntualmente  localizzati  (sia
di valenza di tipo naturalistica (es. geositi) che storico  culturale
(es. chiese)) e  sia  beni  cosiddetti  categoriali  (es.  fasce  dei
fiumi), in sede di redazione del PUC, il comune sottopone all'Ufficio
del Piano regionale una proposta  di  individuazione  di  tali  aree,
supportata da studi approfonditi afferenti le  singole  categorie  di
beni. A tale perimetrazione dovranno essere giustapposte, in via  del
tutto generale, delle "aree di rispetto" contenenti delle limitazioni
alla  fruizione  ed  all'uso  del  territorio.  L'efficacia  di  tale
definitiva individuazione del bene  paesaggistico  si  avra'  con  la
pubblicazione sul BURAS  della  determinazione  del  DG  della  PUTVE
dell'esito positivo della verifica di coerenza del PUC effettuata  ai
sensi  dell'art.  31  legge  regionale   n.   7/2002»   (cfr.   Piano
paesaggistico regionale legge regionale 25 novembre 2004, n. 8  Linee
guida per l'adeguamento dei piani urbanistici comunali al  PPR  e  al
PAI del febbraio 2007). 
    La nuova previsione della legge regionale  n.  1  del  2021,  che
sopprime il divieto di localizzare gli interventi nei centri  antichi
tutelati e nelle zone omogenee E e  H  eccede  quindi  le  competenze
regionali in materia di copianificazione paesaggistica  obbligatoria,
diminuendo per tali aree la tutela ad esse riconosciuta dal PPR. 
    Inoltre,  la  norma  regionale  presenta  criticita'   anche   in
relazione ai beni culturali, poiche' dai predetti programmi integrati
per il riordino urbano, che prevedono interventi di riqualificazione,
di sostituzione edilizia, di modifica di destinazione d'uso di aree e
di immobili con un incremento volumetrico massimo del  40  per  cento
della volumetria demolita, non sono esclusi i beni culturali. 
    La norma qui esaminata e' pertanto costituzionalmente illegittima
per violazione degli articoli 9, 117, primo comma  e  secondo  comma,
lettera s), Cost., rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte
gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145  e  156  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del  2006,  di  recepimento
della Convenzione europea sul paesaggio, e l'art. 5,  comma  11,  del
decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E' di poi illegittima  anch'essa  per  la  rilevata  inosservanza
dell'obbligo di copianificazione con lo Stato, obbligo che  attua  il
principio di leale collaborazione tra Stato e regione. 
15. Illegittimita' dell'art. 16  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli 3, 9 e 117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art. 16 della legge regionale che si impugna modifica l'art. 41
della  legge  regionale  n.  8  del   2015,   recante   «Disposizioni
transitorie della legge regionale n. 4 del 2009». 
    Tali  modifiche  si  inseriscono  nell'art.  41,  che  regola  la
disciplina transitoria del vecchio «piano casa»,  mantenuta  in  vita
per i procedimenti gia' pendenti, e che al comma 1  prevede:  «1.  Le
disposizioni di cui al capo I della legge regionale n. 4 del 2009,  e
successive modifiche ed integrazioni, continuano  ad  applicarsi  per
l'espletamento e fino alla conclusione solamente per  i  procedimenti
instaurati dalla presentazione, entro  il  termine  del  29  novembre
2014, della denuncia di inizio  di  attivita'  o  dell'istanza  volta
all'ottenimento della concessione edilizia, ancorche' le disposizioni
medesime siano divenute inefficaci o siano state modificate al  tempo
della loro applicazione». 
    I commi 3 e 4 del medesimo art. 41, novellati dalla  legge  n.  1
del 2021, fanno riferimento all'art. 13 della legge  regionale  n.  4
del 2009, che disciplina gli interventi  ammissibili  nella  fase  di
adeguamento  degli  strumenti  urbanistici  al  Piano   paesaggistico
regionale e che e' stato abrogato dall'art. 44, comma 3, della  legge
regionale n. 8 del 2015. 
    Trattandosi  di  una  disciplina  abrogata,  mantenuta  in   vita
transitoriamente soltanto per i procedimenti avviati entro una  certa
data,  le  nuove  previsioni  non  possono  che  essere   rivolte   a
modificare, in senso retroattivo, i  presupposti  per  l'accoglimento
delle istanze presentate entro il termine del 29  novembre  2014  (ai
sensi  del  comma  1  dell'art.  41  sopra  richiamato),  con  questo
introducendo una sorta di sanatoria. 
    Sono infatti ampliate, a posteriori, le ipotesi derogatorie  alle
previsioni e prescrizioni del  piano  paesaggistico  regionale,  alle
quali gli strumenti urbanistici comunali devono  adeguarsi  (v.  art.
145, comma 4, del Codice). Cio' contrasta anche  con  il  divieto  di
sanatoria ex post di cui all'art. 167, del Codice. 
    L'art.  16  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale, come attuato  mediante
il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del  1975,  nonche'
degli articoli 9, 117, primo  comma  e  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli  articoli
135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, e l'art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011, in
quanto interviene a regolare materia  spettante  esclusivamente  allo
Stato, e comunque in modo difforme dagli  obblighi  assunti  in  sede
internazionale. 
    E' altresi' illegittimo per violazione dell'art. 3 dello  Statuto
speciale, per i profili che -  pur  eventualmente  appartenendo  alla
competenza regionale - comunque contrastano con le  norme  di  grande
riforma economico sociale costituite dai  principi  di  cui  all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, agli
articoli 2-bis e 14 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380 del 2001, all'intesa sul  piano  casa  del  2009,  fondata  sulla
previsione dell'art. 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art.
5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E'  inoltre  illegittimo  per   violazione   del   principio   di
ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione in ragione  degli
esiti  manifestamente  arbitrari  e  irragionevoli  cui  conduce   la
modifica ex post delle condizioni di accoglimento  delle  domande  di
c.d. piano casa gia' presentate nel 2014,  con  effetti  sperequativi
tra situazioni che ricevono un diverso  trattamento  per  effetto  di
regole mutate successivamente. 
    E'  infine  illegittimo  perche'  lede  il  principio  di   leale
collaborazione   con   lo   Stato,   avendo   eluso   l'obbligo    di
copianificazione . 
16. Illegittimita' dell'art. 17  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli 3, 9 e 117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in esame contiene  un  differimento  dei  termini.  Piu'
precisamente, sposta alla data di sua entrata in vigore i termini  di
cui agli articoli 34, comma 1, lettera b), e 41, comma 4, della legge
regionale n. 8/2015. Proroga poi al 31 dicembre 2023  il  termine  di
cui all'art. 37, comma 1, della stessa  legge  regionale  n.  8/2015,
facendo espressamente rivivere  a  disciplina  dettata  dal  Capo  I,
Titolo II della legge in questione. 
    L'art. 34, comma 1, lettera b), della legge regionale  n.  8/2015
dispone la non applicabilita'  delle  disposizioni  del  Capo  I  del
Titolo II negli  edifici  completati  successivamente  alla  data  di
entrata in vigore della legge regionale n. 8 del  2015.  Per  effetto
della novella essi diventano consentiti fino  all'entrata  in  vigore
della nuova legge. 
    L'art.  41,  comma  4,  consente  l'attuazione  degli  interventi
localizzati nelle zone urbanistiche omogenee C, D e  G,  contigue  al
centro urbano, e previsti nei piani attuativi adottati alla  data  di
entrata in vigore della legge n. 8 del 2015, in attuazione  dell'art.
13, comma 1, lettera b), della legge regionale n.  4  del  2009.  Per
effetto della novella gli interventi stessi sono permessi anche  dopo
il 2015 e fino all'entrata in vigore della nuova legge. 
    In  sostanza,  la  possibilita'  di  eseguire  alcuni  interventi
previsti dal c.d. «piano casa sardo», esclusa dalla  legge  del  2015
oltre la data della sua entrata in vigore, e'  oggi  consentita  fino
all'inizio del 2021, con una proroga di fatto di ulteriori 6 anni. 
    Cio' in evidente contrasto  con  il  carattere  straordinario  ed
eccezionale  della  normativa  del  piano  casa,  e  con  un  effetto
retroattivo che apertamente confligge con il divieto di sanatoria  ex
post disposto dall'art. 167 del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
    Le disposizioni del Capo I del Titolo II della legge regionale n.
8 del 2015, ossia il Capo recante il c.d. secondo  Piano  Casa  della
Sardegna, che avevano scadenza al 31 dicembre 2020 secondo il vecchio
testo dell'art. 37, sono ora prorogate  per  ulteriori  tre  anni.  E
cioe' fino al 31 dicembre 2023. Ma lo stesso termine del 31  dicembre
2020 era frutto di altra proroga per effetto della legge  n.  17/2020
che e' attualmente  all'esame  della  Corte  costituzionale,  ed  era
scaduto al momento di entrata in vigore della legge n. 1/2021. 
    La Regione Sardegna, dopo aver fatto decadere la norma di proroga
del c.d. Piano Casa impugnata, intende quindi  comunque  farne  salva
l'efficacia con una  nuova  norma,  anche  nell'eventualita'  che  la
vecchia fosse dichiarata incostituzionale. 
    Esiste   nell'ordinamento   un   principio   generale   di    non
prorogabilita' dei termini dopo la loro scadenza, e quindi gia'  solo
per questo la norma in esame sarebbe illegittima  per  la  violazione
del canone di ragionevolezza imposto dall'art. 3 della Costituzione. 
    L'art.  17  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione dell'art. 3 dello statuto speciale, come attuato  mediante
il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del  1975,  nonche'
degli articoli 9, 117, primo  comma  e  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli  articoli
135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, e l'art. 5, comma 11, del decreto-legge n.  70  del  2011,
per aver inciso in materia riservata alla competenza esclusiva  dello
Stato e per di piu' in modo  difforme  da  impegni  assunti  in  sede
internazionale. 
    E'  di  poi  illegittimo  per  la  violazione   dei   canoni   di
ragionevolezza imposti dall'art. 3 della Costituzione per  gli  esiti
manifestamente arbitrari e irragionevoli  cui  conduce  la  reiterata
proroga della disciplina del c.d. piano casa, nonche' la  proroga  di
un termine gia' scaduto. 
    E' altresi' illegittimo  per  la  violazione  dell'art.  3  dello
Statuto speciale, come attuato mediante  il  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 480 del  1975,  perche'  -  pur  nell'ipotesi  di
un'eventuale competenza regionale - viola le norme di grande  riforma
economico  sociale  costituite   dai   principi   di   cui   all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della  legge  n.  1150  del  1942,
all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  del
2001, all'intesa sul piano casa del 2009,  fondata  sulla  previsione
dell'art. 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art. 5, commi 9
e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E'  infine  illegittimo  perche'  viola  il  principio  di  leale
collaborazione, avendo unilateralmente disposto in  materia  affidata
alla copianificazione. 
17. Illegittimita' dell'art. 18  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli 3, 9 e 117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in esame detta una «Norma transitoria»  che  prevede  la
salvezza delle richieste di titoli  abilitativi  di  cui  alla  legge
regionale n. 8 del 2015 presentate fino alla  data  del  31  dicembre
2020 e la conservazione delle attivita' eventualmente svolte e  degli
atti adottati dagli uffici pubblici statali, regionali o comunali. 
    Nella  disciplina  transitoria  dettata  dalla  nuova  legge   e'
consentita la facolta' per i richiedenti  il  titolo  abilitativo  di
fruire  delle  sue  modifiche,  ove  piu'  favorevoli,  mediante   la
presentazione delle sole integrazioni o modifiche alla documentazione
gia' presentata. 
    Sempre per la norma transitoria, le eventuali richieste di titoli
abilitativi presentate tra il 1° gennaio 2021 e la data di entrata in
vigore della nuova sono ripresentate a decorrere da quest'ultima. 
    In sostanza, l'art. 18 fa  salve  le  istanze  e  gli  atti  gia'
prodotti rispetto alla pregressa normativa regionale,  che  la  legge
regionale n. 17 del 2020 aveva prorogato fino al  31  dicembre  2020.
Con questa previsione, considerato che all'entrata  in  vigore  della
legge n. 1 del 2021 il  termine  era  gia'  scaduto,  il  legislatore
regionale fa salvi gli atti e le istanze gia' presentate  sulla  base
della norma  previgente,  la  quale  presenta  anch'essa  profili  di
illegittimita' costituzionale, che ne  hanno  motivato  l'impugnativa
avanti alla Corte. 
    L'art.  18  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione dell'art. 3 dello Statuto Speciale, come attuato  mediante
il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del  1975,  nonche'
degli articoli 9, 117, primo  comma  e  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli  articoli
135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, e l'art. 5, comma 11, del decreto-legge n.  70  del  2011,
avendo legiferato in materia di competenza statale e per di  piu'  in
modo difforme dagli impegni assunti in sede istituzionale. 
    E' poi illegittimo per violazione dell'art. 3 della  Costituzione
in quanto non corrisponde a canoni di ragionevolezza di  fronte  agli
esiti  manifestamente  arbitrari  e  irragionevoli  cui  conduce   la
reiterata proroga della disciplina  del  c.d.  piano  casa  regionale
soprattutto se si considera la disposta proroga di  un  termine  gia'
scaduto. 
    E' altresi' illegittimo per violazione dell'art. 3 dello  Statuto
speciale in quanto  -  anche  nell'ipotesi  di  eventuale  competenza
legislativa regionale - comunque vengono  lese  le  norme  di  grande
riforma economico sociale costituite dai  principi  di  cui  all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della  legge  n.  1150  del  1942,
all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  del
2001, all'intesa sul piano casa del 2009,  fondata  sulla  previsione
dell'art. 11 del decreto-legge n. 112 del 2008, e all'art. 5, commi 9
e seguenti, del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E'  infine  illegittimo,  come  tutte  le  altre  norme  che   lo
precedono, per la violazione dell'obbligo di leale collaborazione con
lo Stato perche' incide su materia  che  deve  essere  affidata  alla
copianificazione . 
18. Illegittimita' dell'art. 19  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettere  l),  m)  e  s)  della  Costituzione,  nonche'  per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in esame e' inserita nel Capo II della  legge  regionale
n. 1 del 2021, diretto ad introdurre modifiche alla precedente  legge
regionale n. 23 del 1985, recante  «Norme  in  materia  di  controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e  di
sanatoria  di  insediamenti  ed  opere  abusive,  di  snellimento  ed
accelerazione delle procedure espropriative». 
    Essa dal  canto  suo  modifica  l'art.  7-bis  di  quella  legge,
concernente le «Tolleranze edilizie», inserendo i seguenti due  nuovi
commi: 
        «1-ter.  Per  i  fabbricati   realizzati   con   licenza   di
costruzione antecedente all'entrata in vigore della  presente  legge,
sono    considerate    tolleranze    edilizie,    con     conseguente
inapplicabilita'  delle   disposizioni   in   materia   di   parziale
difformita',  le  violazioni  di  altezza,  distacchi,   cubatura   o
superficie coperta che non eccedano per singola unita' immobiliare il
5 per cento delle misure progettuali. 
        1-quater. Nell'osservanza del  principio  di  certezza  delle
posizioni  giuridiche  e  di  tutela  dell'affidamento  dei  privati,
costituiscono inoltre tolleranze edilizie  le  parziali  difformita',
realizzate nel passato durante i lavori per l'esecuzione di un titolo
abilitativo cui sia seguita, previo sopralluogo o ispezione da  parte
di funzionari incaricati, la certificazione di conformita' edilizia e
di  agibilita'  nelle  firme  previste  dalla  legge  e  le  parziali
difformita' rispetto al titolo abilitativo legittimamente rilasciato,
che  l'amministrazione   comunale   abbia   espressamente   accertato
nell'ambito di un procedimento edilizio e che  non  abbia  contestato
come abuso edilizio o che non abbia  considerato  rilevanti  ai  fini
dell'agibilita' dell'immobile. E'  fitta  salva  la  possibilita'  di
assumere i provvedimenti di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241
del 1990, nei limiti e condizioni ivi previsti.». 
    Queste  due  disposizioni  contrastano   profondamente   con   la
disciplina  statale  contenuta  nell'art.  34-bis  del  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001,  introdotto  con  l'art.
10, comma 1, lettera p), del  decreto-legge  n.  76  del  2020  (c.d.
«decreto Semplificazioni»), che prescrive  che  il  mancato  rispetto
dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta
e di ogni  altro  parametro  delle  singole  unita'  immobiliari  non
costituisce violazione edilizia solo se contenuto entro il limite del
2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo (comma 1), e
che, per gli immobili non sottoposti a tutela ai  sensi  del  Codice,
costituiscono tolleranze esecutive le irregolarita' geometriche e  le
modifiche alle finiture degli edifici di minima entita',  nonche'  la
diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante  i
lavori per l'attuazione di titoli abilitativi edilizi,  a  condizione
che  non  comportino  violazione  della  disciplina  urbanistica   ed
edilizia e non pregiudichino l'agibilita' dell'immobile. 
    La norma del T.U. n. 380/2001, come noto, e' da considerare norma
di grande riforma economico-sociale, non  derogabile  dalle  regioni,
neppure da quelle fornite di autonomia speciale. 
    La norma regionale pertanto, e' illegittima sia ove prevede,  nel
comma 1, il limite del  5  per  cento,  molto  piu'  alto  di  quello
statale, sia ove consente, nel comma 2, una  sorta  di  sanatoria  ex
post considerando «tollerabili» ulteriori parziali difformita' (senza
che ne sia indicato il limite e la rilevanza effettivi)  rispetto  al
titolo edilizio in ragione di alcune acquisizioni procedimentali,  in
difformita' alle previsioni del legislatore  statale,  e  soprattutto
senza che siano esclusi gli immobili tutelati. 
    Si  deve  ulteriormente  rilevare  l'assoluta   contrarieta'   ai
principi e la  manifesta  illegittimita'  costituzionale  del  conuna
1-quater introdotto dalla norma qui censurata per i seguenti aspetti: 
        l'espressa  previsione  di  un  affidamento  tutelabile   del
privato alla conservazione di  opere  abusive  laddove  e'  principio
consolidato nell'ordinamento  quello  per  cui  non  puo'  ammettersi
l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una
situazione di fatto abusiva, che il tempo  non  puo'  in  alcun  modo
legittimare (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9 del 2017; 
        l'attribuzione di un effetto di sanatoria alla  mera  mancata
contestazione degli abusi rilevabili  da  parte  dell'Amministrazione
ovvero al rilascio del certificato di agibilita', laddove e' noto che
quest'ultimo ha la sola funzione  di  certificare  l'esistenza  delle
condizioni per l'utilizzazione dell'immobile in conformita' alla  sua
destinazione; 
        la previsione che gli  effetti  di  sanatoria  riconnessi  al
certificato di agibilita' o alla  mera  mancata  contestazione  degli
abusi siano eliminabili soltanto mediante il ricorso all'autotutela. 
    Le regole dettate dalla norma statale di cui all'art. 34-bis  del
T.U. n. 380/2000 costituiscono anche il contenuto di  una  disciplina
che deve essere  necessariamente  uniforme  su  tutto  il  territorio
nazionale, onde il discostarsi da essa comporta anche  la  violazione
dell'art. 117, comma secondo,  lettera  m)  della  Costituzione,  che
impone  il  rispetto  dei  livelli   essenziali   delle   prestazioni
concernenti i diritti civili dei cittadini, che spetta al legislatore
statale fissare. 
    Inoltre,  l'ampliamento  dell'area  delle   tolleranze   edilizie
comporta anche l'effetto di depenalizzare abusi edilizi  suscettibili
di ricadere nella fattispecie sanzionatoria di cui all'art. 44, comma
1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del
2001, con  conseguente  ulteriore  violazione  del  precetto  di  cui
all'art. 117,  comma  secondo,  lettera  l)  della  Costituzione  che
prevede la potesta' esclusiva dello Stato in materia  di  ordinamento
penale. 
    La norma in esame lede anche  le  norme  costituzionali  poste  a
tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed  artistico,  nonche'
della competenza esclusiva  statale  in  materia  paesaggistica,  sia
perche' non viene esclusa la configurabilita' di tolleranze eccedenti
il 2 per cento in relazione agli immobili sottoposti  a  tutela,  sia
perche' incrementando dal 2 al 5  per  cento  la  misura  delle  c.d.
tolleranze edilizie, si determina l'irrilevanza edilizia di una serie
di  abusi  che,  se  eseguiti  su  immobili  sottoposti  a   vincolo,
costituirebbero  addirittura  variazioni  essenziali  (e   non   mere
variazioni parziali). 
    Per  questa  via,   la   Regione   determina   un   significativo
abbassamento del  livello  della  tutela  degli  immobili  vincolati,
esonerando dalle  sanzioni  penali  e  amministrative  le  variazioni
essenziali eseguite su immobili vincolati. 
    L'art.  19  della  legge  regionale   n.   1/2021   e'   pertanto
costituzionalmente illegittimo per la violazione  dell'art.  3  dello
Statuto speciale e degli articoli 9 e 117, comma secondo, lettere l),
m) e s)  della  Costituzione  perche',  in  relazione  ai  molteplici
aspetti sopra trattati, invade la  sfera  di  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato nelle materie della tutela del paesaggio e  dei
beni  storico-artistici,  della  fissazione  dei  livelli  minimi  di
prestazione concernenti i diritti civili,  nonche'  della  disciplina
penale. 
    E' altresi'  costituzionalmente  illegittimo  per  la  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale, perche' - anche per la  parte  di
potere legislativo di competenza regionale nella materia  edilizia  -
contrasta comunque con le norme statali sopra ricordate, che  fissano
principi di grande riforma economico-sociale nella materia edilizia. 
19. Illegittimita' dell'art. 21  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettere  e),  l)  e  m)  della  Costituzione,  nonche'  per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art. 21 della legge regionale  n.  1/2021  modifica  l'art.  16
della legge regionale n. 23 del 1985, in materia di «Accertamento  di
conformita'», aggiungendo il comma 1-bis in forza  del  quale,  fatti
salvi gli effetti penali dell'illecito, il permesso  di  costruire  o
l'autorizzazione  all'accertamento  di  conformita'  possono   essere
ottenuti,  ai  soli  fini  amministrativi,  qualora  gli   interventi
risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al
momento della presentazione della domanda. La novella ha  un  effetto
dirompente, consentendo di sanare a regime una  serie  di  abusi  non
sanabili in base all'attuale disciplina statale (cfr. articoli  36  e
37 del TUE),  la  quale  richiede  inderogabilmente  la  c.d.  doppia
conformita', ossia la conformita'  dell'intervento  realizzato  senza
titolo sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento
della realizzazione dell'abuso, che a quella  in  vigore  al  momento
della presentazione della domanda. 
    Si tratta, insomma, dell'ennesimo attacco regionale al  principio
della «doppia conformita'». 
    In base alla disciplina  introdotta  dalla  norma  in  esame,  e'
infatti sufficiente  che  l'immobile  sia  conforme  alla  disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione  della
domanda, e  non  anche  al  tempo  dell'abuso.  La  Regione  Sardegna
consente quindi di regolarizzare ex post, rendendole legittime, opere
che, al momento della loro realizzazione, sono in contrasto  con  gli
strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo ad una  ipotesi  di
sanatoria, in linea con iniziative legislative analoghe  puntualmente
sanzionate dalla Corte costituzionale (sentenze n. 233 del  2015,  n.
209 del 2010, n. 290 e n. 54 del 2009). 
    In particolare, nella sentenza n. 232 del 2017,  pronunciata  nei
confronti della Regione Siciliana, si legge che «Questa Corte  si  e'
piu' volte occupata del principio dell'accertamento di conformita' di
cui all'art. 36 testo unico edilizia e ha  affermato  che  esso,  che
costituisce  «principio  fondamentale  nella  materia   governo   del
territorio» (da ultimo, sentenza n. 107 del 2017), e' «finalizzato  a
garantire  l'assoluto  rispetto  della  disciplina   urbanistica   ed
edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione
dell'opera  e  la  presentazione  dell'istanza  volta   ad   ottenere
l'accertamento di conformita'»  (sentenza  n.  101  del  2013).  Tale
istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto «fa riferimento
alla  possibilita'  di  sanare  opere  che,  sebbene  sostanzialmente
conformi  alla  disciplina  urbanistica  ed  edilizia,   sono   state
realizzate  in  assenza  del  titolo  stesso,  ovvero  con   varianti
essenziali»,  laddove  il  condono  edilizio  «ha  quale  effetto  la
sanatoria  non  solo  formale  ma  anche  sostanziale  dell'abuso,  a
prescindere dalla conformita' delle opere realizzate alla  disciplina
urbanistica ed edilizia» (sentenza n. 50 del 2017). 
    Anche a prescindere da tali  classificazioni,  occorre  ricordare
che, sebbene  questa  Corte  abbia  riconosciuto  che  la  disciplina
dell'accertamento di conformita' attiene al governo  del  territorio,
ha comunque precisato che spetta al  legislatore  statale  la  scelta
sull'an, sul  quando  e  sul  quantum  della  sanatoria,  potendo  il
legislatore  regionale   intervenire   solo   per   quanto   riguarda
l'articolazione e la specificazione di tali disposizioni (sentenza n.
233 del 2015). Quanto alle regioni ad  autonomia  speciale,  ove  nei
rispettivi  statuti  si  prevedano  competenze  legislative  di  tipo
primario,  si  e'  puntualizzato  che  esse  devono,  in  ogni  caso,
rispettare  il  limite  della  materia  penale  e   di   «quanto   e'
immediatamente  riferibile   ai   principi   di   questo   intervento
eccezionale di grande riforma», come nel caso del titolo  abilitativo
edilizio in sanatoria (sentenza n. 196 del 2004).». 
    La norma e' pertanto illegittima per contrasto con  il  principio
fondamentale in materia di governo del territorio della c.d.  «doppia
conformita'», fissato dal noto art. 36 del TU sull'edilizia di cui al
decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001,che  si  deve
imporre  alle  regioni  anche  quando  esse  esercitino  la   propria
competenza legislativa esclusiva. 
    Questo principio, che e'  di  grande  riforma  economico-sociale,
costituisce anche un dato che attiene  ai  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili  dei  cittadini  che  devono
essere assicurati uniformemente sull'intero territorio  nazionale  ai
sensi dell'art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione. 
    La  Regione,  inoltre,  pur  facendo  salvi  gli  effetti  penali
dell'illecito, non fa salve le relative sanzioni  civili  e  fiscali,
previste dagli articoli 46 e 49  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001, con conseguente invasione della sfera  di
competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile di  cui
alle lettere l) ed e) del secondo comma dell'art. 117 Cost. 
    Realizzando un sostanziale intervento in  sanatoria,  la  Regione
Sardegna ha dunque invaso un ambito legislativo estraneo ai titoli di
sua  legittimazione,  rendendo  ancor  piu'   evidente   la   marcata
incoerenza sistematica da ascrivere alle disposizioni impugnate. 
20. Illegittimita' dell'art. 23  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo, lettere m) e s) della Costituzione, nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in esame e' inserita nel Capo III della legge  regionale
n. 1 del 2021 contenente modifiche alla precedente legge regionale n.
16 del 2017 («Norme in  materia  di  turismo»)  e  reca  disposizioni
varie. 
    Essa modifica l'art. 21 di quella legge, concernente le «Aree  di
sosta temporanea a fini turistici», introducendo il  comma  3-bis  in
forza del quale  i  privati  possono  proporre  al  comune  la  sosta
temporanea degli autocaravan e caravan in aree  proprie  e  i  comuni
possono  rilasciare  l'autorizzazione   una   volta   verificata   la
sussistenza dei requisiti di cui al comma 3, ossia  quelli  richiesti
dall'art. 185 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285  («Nuovo
codice della strada») e dell'art.  378  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 («Regolamento di esecuzione
e di attuazione del nuovo  codice  della  strada»),  essendo  inoltre
richieste le dotazioni minime e ulteriori appositamente indicate. 
    Non e' specificato che la realizzazione delle richiamate aree  di
sosta  deve  comunque  essere  conforme  alle  previsioni  del  piano
paesaggistico e autorizzata sotto il profilo paesaggistico. 
    Poiche' pero' i commi 1 e 2 dell'art. 21 distinguono tra le  aree
destinate alla sosta temporanea attrezzate e non attrezzate,  e  solo
per le aree attrezzate e' richiesto il rispetto dei requisiti di  cui
sopra, il nuovo comma 3-bis non specifica che le aree di  sosta,  che
possono essere proposte ai comuni in aree private, sono «attrezzate»,
pur richiedendo i requisiti di cui al comma 3 (previsti per  le  aree
attrezzate). 
    Al  riguardo,  si  precisa  che  le  aree  di  sosta   temporanea
attrezzate non sono consentite  nell'ambito  del  bene  paesaggistico
tipizzato e  individuato  dal  Piano  paesaggistico  regionale  della
«Fascia costiera», in quanto la realizzazione di «aree attrezzate  di
camper» non sono ammesse dalle relative NTA (cfr. art. 20,  comma  1,
lettera b, punto 3) e quindi la norma, in quanto riferita anche  alle
aree attrezzate, risulta contraria alle previsioni delle predette NTA
del PPR. 
    L'art.  23  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione dell'art. 3 dello Statuto Speciale, e degli articoli  117,
secondo comma, lettere m) ed  s),  della  Costituzione,  rispetto  ai
quali costituiscono parametri interposti gli articoli 135, 143,  145,
146, 149 e 156 del Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio,  il
decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2017 e la legge  n.
14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio. 
    E'  altresi'  illegittimo  per  violazione  dell'art.   9   della
Costituzione perche' compromette il bene paesaggistico, la cui tutela
spetta esclusivamente allo Stato. 
    E'  illegittimo   per   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione  perche'   comunque   incide   unilateralmente   sulla
disciplina   del   paesaggio    senza    osservare    l'obbligo    di
copianificazione con lo Stato. 
21. Illegittimita' dell'art. 24  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli 3, 9 e 117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma in questione introduce nella legge regionale n.  16  del
2017 l'art. 19-bis, concernente la «Realizzazione dei campeggi  oltre
la fascia dei 300 metri dalla linea di battigia»,  con  il  quale  si
consente la realizzazione di  campeggi  a  basso  indice  di  impatto
paesaggistico e ad alto indice di reversibilita' oltre la  fascia  di
300 metri dalla linea di battigia. 
    La previsione contrasta con il piano paesaggistico regionale e in
particolare con la disciplina  d'uso  (NTA)  del  bene  paesaggistico
tipizzato e individuato della  «Fascia  costiera»,  e  con  eventuali
ulteriori vincoli paesaggistici che vi ricadono. 
    Anche in questo caso la Regione Sardegna viola  la  normativa  di
tutela  paesaggistica  e  il  connesso  obbligo  di  copianificazione
previsto dagli articoli 135 e 143 del Codice. E'  inoltre  obliterato
l'obbligo di ottenere l'autorizzazione paesaggistica. 
    La previsione e' illegittima per  violazione  dell'art.  3  dello
Statuto speciale, e degli articoli 117, secondo comma, lettere  m)  e
s), della Costituzione, rispetto  ai  quali  costituiscono  parametri
interposti gli articoli 135, 143, 145, 146, 149 e 156 del Codice  dei
beni culturali e del  paesaggio,  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 31 del 2017 e la legge n. 14 del 2006,  di  recepimento
della Convenzione europea sul paesaggio. 
    E'  altresi'  illegittimo  per  violazione  dell'art.   9   della
Costituzione perche' compromette il bene paesaggistico, la cui tutela
spetta esclusivamente allo Stato. 
    E'  illegittimo   per   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione  perche'   comunque   incide   unilateralmente   sulla
disciplina   del   paesaggio    senza    osservare    l'obbligo    di
copianificazione con lo Stato. 
22. Illegittimita' dell'art. 25  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli 3, 9 e 117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art.   25   della   legge   regionale   n.   1/2021    fornisce
l'interpretazione autentica dell'art. 4  del  decreto  dell'Assessore
regionale degli enti locali, finanze e urbanistica n. 2266/U del 1983
e prevede: «1. L'art. 4 del decreto  dell'Assessore  regionale  degli
enti locali, finanze e urbanistica n. 2266/U del 1983  si  interpreta
nel senso che,  in  sede  di  nuova  pianificazione,  le  limitazioni
imposte dalla legge regionale 25 novembre 2004, n. 8  (Norme  urgenti
di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e  la
tutela del territorio regionale) inerenti  il  dimensionamento  della
capacita' insediativa alberghiera, non si applicano per i comuni  che
non abbiano raggiunto la  potenzialita'  volumetrica  originariamente
prevista dal decreto assessoriale n. 2266/U del 1983 a condizione che
le relative volumetrie siano finalizzate  alla  promozione  turistica
mediante la realizzazione di strutture alberghiere, para  alberghiere
a 5 o 6 stelle. E' consentito trasferire la residenza anagrafica  e/o
domicilio nelle strutture ricettive definite dalla legge regionale n.
16 del 2017, a prescindere dalla  classificazione  urbanistica  delle
aree in cui le medesime ricadono». 
    L'art. 4 del decreto 2266/U del 1983 (oggetto di  interpretazione
autentica) reca i limiti di densita' edilizia  per  le  diverse  zone
nella Regione Sardegna. 
    Con l'art. 25 si introduce, sostanzialmente,  una  modifica  alla
previsione dell'art. 6 («Zone F turistiche») della legge regionale n.
8 del 2004, recante «Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la
pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale»  -
sulla cui base fu approvato il vigente piano paesaggistico  regionale
- ove si prevede che:  «Il  dimensionamento  delle  volumetrie  degli
insediamenti turistici ammissibili  nelle  zone  F  non  deve  essere
superiore al 50 per cento di quello consentito con l'applicazione dei
parametri massimi stabiliti per il calcolo della fruibilita' ottimale
del litorale dal dec. ass. 20 dicembre 1983, n. 2266/U dell'Assessore
degli enti locali, finanze ed urbanistica». 
    L'art. 25 introduce pertanto la possibilita' di  individuare,  in
sede di redazione degli strumenti urbanistici  comunali  (non  ancora
adeguati al PPR, che a sua volta necessita  di  essere  verificato  e
adeguato ai sensi di quanto  previsto  dal  Protocollo  d'Intesa  del
2007), nuove previsioni edificatorie,  anche  negli  ambiti  tutelati
paesaggisticarnente,   in   contrasto    con    il    principio    di
copianificazione obbligatoria di cui agli  articoli  135  e  143  del
Codice. 
    L'interpretazione  autentica  di  una  norma  risalente  a  oltre
quarant'anni prima, secondo  l'avviso  del  Governo,  appare  inoltre
irragionevole  e  contraria  al  buon   andamento,   e   per   questo
contrastante con i canoni di ragionevolezza di cui all'art.  3  della
Costituzione. 
    La norma qui censurata e' pertanto costituzionalmente illegittima
per violazione dell'art. 3  dello  Statuto  speciale,  nonche'  degli
articoli 9, 117, primo comma  e  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte  gli
articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  e  la  legge  n.  14  del  2006,  di  recepimento   della
Convenzione europea sul paesaggio. 
    Viola comunque l'art.  3  della  Costituzione  per  la  manifesta
irragionevolezza, anziche' esercitare ex novo il potere  legislativo,
di operare l'interpretazione autentica  di  una  norma  risalente  ad
oltre quarant'anni fa. 
    Viola infine il principio di leale collaborazione, perche' incide
unilateralmente sulla materia paesaggistica al di fuori  dell'obbligo
di copianificazione con lo Stato. 
23. Illegittimita' dell'art. 26  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art.  25  della  legge  regionale  n.   1/2021   («Insediamenti
turistici. Specificazioni») prevede: 
        «1. Al fine di  favorire  lo  sviluppo  delle  localita'  non
costiere e la destagionalizzazione dei flussi  turistici,  in  deroga
all'art. 61, comma 1, lettera b), e all'art. 89, comma 1, lettera b),
delle Norme tecniche di  attuazione  (NTA)  del  Piano  paesaggistico
regionale (PPR), approvato con D.P.Reg.  7  settembre  2006,  n.  82,
qualora non siano perseguibili le modalita' di cui all'art. 90, comma
1, lettera a), delle stesse NTA, i comuni possono  localizzare  nuovi
interventi turistici e relativi servizi generali, che  non  siano  in
connessione ed integrazione con assetti insediativi esistenti,  nelle
vicinanze di un fattore di attrazione motivatamente individuato». 
    Le NTA del PPR prevedono che  i  comuni,  nell'adeguamento  degli
strumenti urbanistici al PPR, debbano localizzare i nuovi  interventi
residenziali e turistici  e  i  servizi  generali  in  connessione  e
integrazione  strutturale  e  formale   con   l'assetto   insediativo
esistente  (art.  61,  comma  1,  lettera  b)  e  favorire  le  nuove
localizzazioni  turistiche  in  zone  contigue  e/o  integrate   agli
insediamenti (art. 89, comma 1, lettera b). 
    L'art. 90, comma 1, lettera a), delle NTA prevede poi, come norma
di indirizzo degli  insediamenti  turistici,  che  i  comuni  debbano
prevedere lo sviluppo della potenzialita'  turistica  del  territorio
attraverso  l'utilizzo  degli  insediamenti  esistenti  quali  centri
urbani,  paesi,  frazioni  e  agglomerati,  insediamenti  sparsi  del
territorio rurale e grandi complessi del territorio minerario. 
    L'art. 26 della legge regionale n. 1 del 2021 introduce,  in  via
autonoma e unilaterale, previsioni  derogatorie  alle  NTA  del  PPR,
consentendo  la  localizzazione  di  nuovi  interventi  turistici   e
relativi servizi generali non conformi  alla  vigente  disciplina  di
tutela, e cio' al di fuori degli obblighi di verifica ed  adeguamento
del Piano paesaggistico regionale di cui agli  art.  143  e  156  del
Codice, sulla base  del  Protocollo  d'intesa,  sottoscritto  tra  la
Regione e il Ministero nel 2007 e del relativo disciplinare attuativo
del 2018. 
    L'art.  26  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale, come attuato  mediante
il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del  1975,  nonche'
degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma lettera s), Cost.,
rispetto ai quali costituiscono norme interposte  gli  articoli  135,
143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  e  la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio. 
    E',   come   tutte   le   altre   norme   che    lo    precedono,
costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di  leale
collaborazione, pacificamente ignorando l'obbligo di copianificazione
con lo Stato. 
24. Illegittimita' dell'art. 27  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli  9  e  117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    L'art. 26, in  due  distinti  commi,  disciplina  gli  interventi
ammissibili nella fase di adeguamento degli strumenti urbanistici  al
Piano paesaggistico regionale, e prevede: 
        «1. Negli ambiti di paesaggio costiero di  cui  all'art.  14,
comma 1, delle NTA del  PPR,  fino  all'adeguamento  degli  strumenti
urbanistici alle previsioni del PPR, e' consentita,  in  aggiunta  ai
casi  di  cui  all'art.  15,  comma  1,  delle  NTA,   l'adozione   e
l'approvazione  dei  piani   attuativi   previsti   nello   strumento
urbanistico vigente, che ricadono nelle zone territoriali omogenee C,
D e G, contigue o interne al tessuto urbano. 
        2. Ai fini dell'applicazione della disciplina transitoria  di
cui all'art. 15, comma 1, delle NTA del PPR, i confini amministrativi
comunali sono considerati elementi geografici di interclusione.». 
    L'art. 15, comma 1, delle NTA, detta  la  disciplina  transitoria
per  gli  ambiti  di  paesaggio  costieri,   prevedendo   che,   fino
all'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle  previsioni
del  PPR,  e'  consentita  l'attivita'   edilizia   e   la   relativa
realizzazione delle opere di urbanizzazione nelle zone omogenee A e B
dei centri abitati e delle frazioni individuate dai comuni  ai  sensi
dell'art. 9 della legge 24 dicembre 1954 n. 1228, purche'  delimitate
ed indicate come tali negli strumenti urbanistici comunali.  Inoltre,
sono realizzabili in conformita'  ai  vigenti  strumenti  urbanistici
comunali gli interventi edilizi ricadenti nelle zone C immediatamente
contigue al tessuto urbano  consolidato  ed  intercluse  da  elementi
geografici,  infrastrutturali  ed  insediativi  che   ne   delimitino
univocamente tutti i confini. 
    L'art. 27 della legge regionale n. 1 del 2021 introduce nelle NTA
del PPR, in via autonoma e  unilaterale,  una  ulteriore  fattispecie
derogatoria agli  obblighi  di  adeguamento  al  Piano  paesaggistico
regionale  dei  PUC   (Piani   urbanistici   comunali),   consentendo
l'adozione  e  approvazione  di  Piani  attuativi   derogatori   alla
obbligatoria disciplina di tutela definita dal PPR. 
    Tale disposizione e' inoltre resa ancor  piu'  grave,  nelle  sue
conseguenze per la  tutela  del  paesaggio  (comprensivo  dell'intero
territorio), dalla introduzione con  il  comma  2  di  una  sorta  di
presunzione, in base alla quale i «confini  amministrativi  comunali»
sono considerati come un elemento pari a quello  dell'edificazione  o
infrastrutturazione esistente, nel  cui  solo  ambito  sarebbe  stato
possibile, ai sensi delle NTA, operare ulteriori  trasformazioni  del
territorio. 
    La disposizione, pertanto, non solo aggiunge, rispetto alle  NTA,
le zone omogenee D e G, ma consente di edificare  ulteriormente,  con
piani attuativi, in aggiunta a quanto gia' previsto dal vigente  PPR,
anche  in  ambiti  tutelati  paesaggisticamente,  e  cio'  senza   il
coinvolgimento obbligatorio del Ministero in sede di copianificazione
obbligatoria. 
    L'art.  27  e'  pertanto   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale, come attuato  mediante
il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del  1975,  nonche'
degli articoli 9, 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della
Costituzione, rispetto ai quali costituiscono  norme  interposte  gli
articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  e  la  legge  n.  14  del  2006,  di  recepimento   della
Convenzione europea sul paesaggio. 
    E'  infine  costituzionalmente  illegittimo  per  la  consueta  e
ripetuta violazione del principio  di  leale  collaborazione  con  lo
Stato per aver ignorato l'obbligo di copianificazione . 
25. Illegittimita' dell'art. 28  della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 per violazione degli articoli 3, 9 e 117,  commi  primo  e
secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    La norma qui indicata cosi' dispone: 
        «1. Fino all'adeguamento del PPR  e  delle  relative  NTA  il
vincolo paesaggistico relativo alle zone umide di  cui  all'art.  17,
comma 3, delle vigenti NTA si interpreta sistematicamente con  l'art.
18 delle medesime NTA nel senso che le zone umide rappresentano  beni
paesaggistici oggetto di conservazione e tutela per  l'intera  fascia
di 300 metri dalla  linea  di  battigia  dei  laghi  naturali,  degli
stagni, delle lagune e degli invasi artificiali, a prescindere  dalle
perimetrazioni  operate  sulle   relative   cartografie   in   misura
inferiore. 
        2. Nelle zone urbanistiche A, B, C, D, E ed F dei comuni  che
non abbiano provveduto all'adeguamento del piano urbanistico comunale
al PPR, le aree libere da volumi regolarmente accatastati  alla  data
di approvazione della presente legge, che ricadano  nella  fascia  di
tutela di cui al comma 1, sono inedificabili  e  non  possono  essere
oggetto di alcuna trasformazione urbanistica o edilizia. 
        3. Sugli edifici esistenti nella fascia di tutela di  cui  al
comma 1 restano consentiti gli interventi di cui all'art. 3, comma 1,
lettere a), b), c) e d) del decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia (Testo A)), e successive  modifiche
ed integrazioni». 
    Al contempo, il successivo art. 29 abroga l'art. 27  della  legge
regionale  n.  8  del  2015,   che   cosi'   estendeva   il   vincolo
paesaggistico: «1. Sono beni  paesaggistici  le  zone  umide  di  cui
all'art. 17, comma 3, lettera g) delle Norme tecniche  di  attuazione
del Piano paesaggistico regionale, individuate e rappresentate  nella
cartografia di piano  nella  loro  dimensione  spaziale.  Il  vincolo
paesaggistico non si estende, oltre il  perimetro  individuato,  alla
fascia di tutela dei 300 metri dalla linea di battigia,  riferita  ai
soli laghi naturali e invasi artificiali». 
    Al riguardo, occorre anzitutto evidenziare che l'art.  17,  comma
1, lettera g), delle NTA del PPR elenca, tra  le  categorie  di  beni
paesaggistici, tipizzati e individuati nella cartografia del PPR,  la
seguente:  «Zone  umide,  laghi  naturali  ed  invasi  artificiali  e
territori contermini compresi in una fascia della profondita' di  300
metri dalla linea di battigia, anche  per  i  territori  elevati  sui
laghi». Si tratta di  zone  umide  individuate  dal  PPR  e,  quindi,
diverse e  ulteriori  rispetto  a  quelle  tutelate  ai  sensi  della
Convenzione di Ramsar (queste ultime soggette a vincolo  ex  lege  ai
sensi dell'art. 142,  comma  1,  lettera  i),  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio). 
    Tale norma era stata oggetto della  pronuncia  del  Consiglio  di
Stato n. 2188 del 2012, con la quale si era ritenuto che la fascia di
rispetto della profondita' di 300 metri «deve allora ritenersi valere
per tutti i beni elencati in tale lettera g)». 
    Successivamente, la Corte costituzionale, con la sentenza n.  308
del 2013, aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
1, commi 1 e 2,  della  legge  della  Regione  autonoma  Sardegna  12
ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di
beni paesaggistici), che prevedeva:  «1.  La  Giunta  regionale,  nel
rispetto della norma fondamentale di  riforma  economico-sociale  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002,  n.
137),  e   successive   modifiche   ed   integrazioni,   assume   una
deliberazione di interpretazione autentica  dell'art.  17,  comma  3,
lettera  g),  delle  norme  di  attuazione  del  Piano  paesaggistico
regionale nel senso che la l'ascia della  profondita'  di  300  metri
dalla linea di battigia e' da riferirsi esclusivamente, come in  tali
disposizioni  gia'  stabilito,  ai  laghi  naturali  e  agli   invasi
artificiali, e non si applica alle  citate  zone  umide  tipizzate  e
individuate ai sensi dell'art. 134, comma 1, lettera c), del  decreto
legislativo n. 42 del 2004, come modificato dall'art. 4, comma 1, del
decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed
integrative al  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  in
relazione al paesaggio. 2. I comuni e gli altri enti  competenti,  in
conformita' alla deliberazione  di  interpretazione  autentica  della
Giunta regionale di cui  al  comma  1,  sono  tenuti  ad  adottare  i
necessari atti conseguenti  con  riferimento  ai  titoli  abilitativi
rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di adozione del Piano
paesaggistico regionale». 
    In tale occasione la Corte ha ritenuto, tra l'altro, che «...  la
volonta'  del  legislatore  deve  ravvisarsi,  alla  luce  di  quanto
statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle  relative  norme
del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio  di  cui  al
decreto legislativo n. 42 del  2004,  nella  volonta'  di  assicurare
un'adeguata tutela e valorizzazione del  paesaggio,  in  primo  luogo
attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1  della
legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali
e del paesaggio). L'effetto prodotto dalla norma regionale impugnata,
all'opposto, risulta essere quello di una  riduzione  dell'ambito  di
protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici,  le  zone
umide, senza che cio' sia imposto dal necessario  soddisfacimento  di
preminenti interessi costituzionali. E cio', peraltro, in  violazione
di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla
portata retroattiva  delle  leggi,  con  particolare  riferimento  al
rispetto  delle  funzioni  riservate  al  potere  giudiziario.  Deve,
pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012». 
    Con la legge regionale n. 8 del 2015,  la  Regione  Sardegna  era
nuovamente intervenuta a precisare  la  nozione  delle  «zone  umide»
tipizzate e individuate dal PPR, questa  volta  senza  dichiarare  la
natura  di  norma  di  interpretazione  autentica  della   previsione
introdotta. In particolare, mediante il  richiamato  art.  27  -  ora
abrogato  -  la  Regione  specificava  come,   tenuto   conto   della
distinzione tra «zone umide» e «laghi naturali e invasi artificiali»,
solo a questi ultimi  dovesse  considerarsi  riferita  la  fascia  di
rispetto di 300 metri di cui all'art. 17 delle NTA. 
    L'art. 28, comma 1, della legge regionale in esame introduce  una
nuova (ulteriore e diversa) interpretazione  autentica  della  stessa
previsione di cui all'art. 17, comma 3, lettera g), delle NTA, ancora
piu' restrittiva della portata del vincolo. 
    La tutela delle  zone  umide  oggetto  di  vincolo  paesaggistico
tipizzato e individuato dal PPR, subisce una doppia limitazione:  non
solo le predette zone non  sono  dotate  di  una  propria  fascia  di
rispetto di 300 metri, ma la relativa individuazione e' limitata alla
sola porzione che rientra nella fascia  di  rispetto  dei  300  metri
prevista per i laghi naturali, gli stagni, le  lagune  e  gli  invasi
artificiali, di fatto riconducendo e  «assorbendo»  la  tutela  delle
zone umide alla tutela gia'  riconosciuta  dal  PPR  alla  fascia  di
rispetto di altri beni paesaggistici. La Regione opera,  quindi,  una
riduzione della tutela specificatamente riconosciuta alle zone  umide
come bene paesaggistico autonomo,  in  contrasto  con  le  previsioni
delle NTA. Occorre rilevare che la  disposizione  censurata,  seppure
qualificata dallo stesso legislatore regionale in termini di norma di
interpretazione autentica, non si pone in linea  con  le  indicazioni
offerte dalla Corte costituzionale nello  scrutinare,  attraverso  il
parametro offerto dall'art. 3  della  Costituzione,  la  legittimita'
delle norme di  interpretazione  autentica  o  comunque  delle  norme
dotate di efficacia retroattiva: non  assegna,  infatti,  alla  norma
interpretata un significato gia' in questa  contenuto,  riconoscibile
come una delle possibili letture del testo originario;  ne',  ancora,
vale a chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo
in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto, o consente di
ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta'
del  legislatore  a  tutela  della  certezza  del  diritto  e   della
eguaglianza  dei  cittadini,   principi   di   preminente   interesse
costituzionale.  Piuttosto,  lungi  dal  fornire   un'interpretazione
possibile del testo della legge impugnata, ne restringe  all'evidenza
l'estensione, al solo scopo di diminuire la portata applicativa della
disciplina di tutela riferibile alle zone umide. 
    Ne', ancora, la retroattivita' della disposizione de qua  finisce
comunque  per  trovare  giustificazione  nella  tutela  di  principi,
diritti  e  beni  di  rilievo   costituzionale,   che   costituiscono
altrettanti motivi imperativi di interesse generale, ai  sensi  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,  n.  848;  si  mostra,  per
contro, lesiva dei principi prima richiamati ed in particolare  della
certezza dell'ordinamento giuridico e dell'affidamento  dei  soggetti
destinatari. 
    Nella richiamata sentenza n. 308 del  2013,  la  Corte  ha  anche
ricordato,   richiamando   il   proprio   orientamento,   i    limiti
costituzionali  che  devono  essere   rispettati   dalle   norme   di
«interpretazione autentica».  Si  tratta  di  «una  serie  di  limiti
"attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi  costituzionali,
anche di altri fondamentali valori di  civilta'  giuridica,  posti  a
tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra  i
quali  vanno  ricompresi  il  rispetto  del  principio  generale   di
ragionevolezza [...]; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto
nei soggetti quale principio connaturato allo Stato  di  diritto;  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto  delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza
n. 209 del 2010)" (sentenza n. 78 del 2012)». 
    La disposizione si pone in contrasto  frontale  peraltro,  con  i
principi  enunciati  dalla  Corte  costituzionale   e   dal   Giudice
amministrativo in materia di tutela  delle  zone  umide  proprio  con
riferimento a norme regionali della Sardegna che  si  proponevano  di
ridurre la tutela assegnata dal Piano paesaggistico ai predetti beni. 
    In materia di tutela del paesaggio, il Codice dei beni  culturali
e  del  paesaggio  costituisce  per  la  Regione  espressione   della
competenza esclusiva dello Stato, ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), nonche' limite per quanto attiene  alle  norme  di
grande  riforma  in  esso  contenute  in  materia  di  «edilizia   ed
urbanistica»,   attribuita   alla   Regione   in    via    esclusiva.
Conseguentemente, non spetta alla Regione  sottrarre  unilateralmente
categorie di beni paesaggistici gia' sottoposti a tutela al principio
fondamentale di copianificazione con  lo  Stato  posto  dal  predetto
Codice. 
    Posto quanto illustrato, se l'art. 29 della  legge  regionale  in
esame, in quanto abroga un disposizione che non era condivisibile  di
cui  risulta  legittima  e  opportuna   l'eliminazione,   e'   invece
costituzionalmente illegittimo l'art. 28, commi 1 e 3 per  violazione
degli articoli 3  e  9  della  Costituzione,  in  considerazione  dei
profili di arbitrarieta' e irragionevolezza  insiti  nella  norma  di
interpretazione autentica, che determina l'effetto della  diminuzione
della tutela di beni di pregio paesaggistico. 
    La  stessa  norma  e'  poi  costituzionalmente  illegittima   per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale nonche' degli  articoli
9, 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della  Costituzione,
rispetto ai quali costituiscono norme interposte  gli  articoli  135,
143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  e  la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio. 
    E' infine costituzionalmente illegittima, come ripetersi...,  per
la violazione del principio  di  leale  collaborazione,  per  mancata
osservanza dell'obbligo di copianificazione con lo Stato. 
26. Illegittimita' dell'art. 30, comma 2, della  legge  regionale  18
gennaio 2021, n. 1 per violazione degli articoli 3, 9  e  117,  commi
primo  e  secondo,  lettera  s)  della  Costituzione,   nonche'   per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    Nel  Capo  IV  della  legge  regionale  e'  inserito  l'art.  29,
contenente «Clausola di non onerosita'», che  prevede,  al  comma  2,
che: 
        «Gli  articoli   della   presente   legge,   trattandosi   di
disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante  il
rilancio del settore edilizio coniugate con la  riqualificazione,  la
razionalizzazione ed il miglioramento della qualita' architettonica e
abitativa,  della   sicurezza   strutturale,   della   compatibilita'
paesaggistica e dell'efficienza energetica  del  patrimonio  edilizio
esistente   nel   territorio   regionale,   anche    attraverso    la
semplificazione  delle  procedure,  sono  cogenti  e   di   immediata
applicazione  e  prevalgono  sugli  atti  di  pianificazione,   anche
settoriale, sugli strumenti urbanistici generali e attuativi e  sulle
altre vigenti disposizioni normative regionali». 
    Si tratta di  una  disposizione  manifestamente  illegittima,  in
quanto assicura la prevalenza delle disposizioni  regionali  rispetto
alle previsioni e prescrizioni del Piano paesaggistico regionale,  in
contrasto con le previsioni del Codice (art. 145), che  costituiscono
norme interposte rispetto agli  articoli  9  e  117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione, come piu' volte affermato dalla Corte
costituzionale, la  quale  ha  sancito  l'inderogabilita'  del  piano
paesaggistico da parte del legislatore regionale (sentenze  n.  11  e
189 del 2016). 
    L'art. 30, comma 2, e'  pertanto  costituzionalmente  illegittimo
per violazione dell'art. 3  dello  statuto  speciale,  nonche'  degli
articoli 9, 117, primo comma e  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
rispetto ai quali costituiscono norme interposte  gli  articoli  135,
143, 145 e 156 del Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio,  la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, e l'art. 5, comma 11, del decreto-legge n. 70 del 2011. 
    E'  poi  illegittimo,  ad  avviso  del  Governo,  per  violazione
dell'art. 3 della Costituzione per gli esiti manifestamente arbitrari
e irragionevoli cui conduce deroga  indiscriminata  della  disciplina
del territorio 
    E' inoltre illegittimo per violazione dell'art. 3  dello  Statuto
speciale, come attuato  mediante  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  480  del  1975,  e  degli  articoli  3  e  97   della
Costituzione, per  aver  violato  -  pur  negli  spazi  eventualmente
spettanti alla potesta' legislativa regionale - le  norme  di  grande
riforma economico sociale costituite dai  principi  di  cui  all'art.
41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942 (come
attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del  1968,  recepito
dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e  il  d.P.G.  n.
228 del 1994), agli articoli 2-bis e 14 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001, all'intesa sul piano casa del 2009,
fondata sulla previsione dell'art. 11 del decreto-legge  n.  112  del
2008, e all'art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge n.  70  del
2011. 
    E' infine costituzionalmente illegittimo per avere  espressamente
previsto la prevalenza della legge regionale (e qui sta  l'intenzione
di fondo del legislatore  regionale  chiaramente  manifestata)  sulla
pianificazione formatasi in collaborazione con lo  Stato  nell'ambito
di una pianificazione condivisa. 
    Negando l'esistenza attuale di un obbligo di copianificazione, il
legislatore regionale misconosce il ruolo fondamentale e  determinate
dello Stato nella materia della tutela del paesaggio  e  del  governo
del territorio, e per questo motivo l'intera legge non  puo'  passare
al vaglio di costituzionalita'.